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LA CORTE BENEDETTINA DI LEGNARO Vicende ... - Giuliocesaro.it

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<strong>LA</strong> PRESENZA DEI MONACI <strong>DI</strong> SANTA GIUSTINA A <strong>LEGNARO</strong> E NEL<strong>LA</strong> <strong>CORTE</strong>tadini contiene infine una constatazione che riguarda laricostruzione delle loro dimore dopo il passaggio dellaguerra d’inizio secolo, nel trapasso tra l’età dei Carraresie quella veneziana: le case d’ab<strong>it</strong>azione furono ricostru<strong>it</strong>esenza il concorso del monastero 71 .L’aspra l<strong>it</strong>e, durata diversi anni con il conseguenteesborso di cospicue risorse finanziarie, giunta alla suaconclusione giudiziaria con la sentenza pronunciatadal patriarca di Venezia Maffeo Gherardi gia abatecamaldolese di San Michele di Murano 72 , nella qualesi riconoscevano leg<strong>it</strong>timi i dir<strong>it</strong>ti del monastero, futerminata da una solenne transazione stipulata a Padovail 1 settembre 1466, nei locali del monastero presso lascala che conduce all’infermeria antica, tra i monaci egli uomini di Legnaro. I primi, in forza di un atto diprocura redatto dal notaio Giovanni Giacomo da Conail 7 agosto 1462, erano rappresentati dall’abate di SantaMaria di Siena Luca Contarini da Venezia, AntonioMoro da Venezia, priore di Santa Giustina, Tomasoda Firenze, cellerario del monastero, mentre i secondiagivano in nome proprio in qual<strong>it</strong>à di contraenti, e valea dire Daniele Furlan e suo fratello Matteo Zago delfu Bartolomeo, Mainerio di Biagio Viola, Nicolò DalCortivo di Antonio 73 e Simone del fu Domenico Marco.L’accordo si conformava alle sentenze del patriarca diVenezia. Per giungere alla conclusione dei lunghi contrasti,accompagnati da ingiurie e da cospicue spese, icontadini di Legnaro furono spinti dall’intervento diopportuni consigli di amici e dalla considerazione dellabuona fede con cui si erano precedentemente mossi: èda presumere che non fossero estranei all’accordo ilrettore della chiesa di San Biagio di Legnaro LudovicoSabbadin da Venezia 74 e Giacomo del fu Almerico daLegnaro del Vescovo, ambedue testimoni dell’atto d<strong>it</strong>ransazione. Gli aff<strong>it</strong>tuari dichiararono di voler essereconsiderati, in futuro, sudd<strong>it</strong>i fedeli, deb<strong>it</strong>ori leg<strong>it</strong>timiverso il monastero, perciò si sentivano obbligati a corrispondereall’abate e ai monaci di Santa Giustina la decima.Contestualmente chiesero di essere reputati comebuoni figli, veri e leg<strong>it</strong>timi lavoratori del monastero, divolere permanere e lavorare in modo pacifico all’ombrae sotto la protezione del monastero: ciò credono sia lorodovuto perché si sono presentati spontaneamente mossida un desiderio di pace e di concordia. Riconobberoinoltre al monastero il dir<strong>it</strong>to di decima da raccoglieredirettamente sulle possessioni, la quale doveva esserecorrisposta per un quinquennio al canone di un quartieredi frumento, pul<strong>it</strong>o e setacciato, e otto soldi di piccoliper campo, iniziando dall’anno 1465. Detto canonedoveva essere fatto giungere a Santa Giustina, a tempodeb<strong>it</strong>o, a tutte spese e pericolo dei medesimi aff<strong>it</strong>tuari;se il dovuto non fosse stato corrisposto il monastero avevail dir<strong>it</strong>to di affidare ad altri la conduzione dei terreni.La clausola finale riguardava le spese sostenute per starein giudizio: le due parti avrebbero badato a saldare leproprie spese senza nessuna rivalsa verso la parte avversa75 .Per coloro che rifiutarono il concordato non rispettandoi decreti podestarili, ma rimasero fermi nel loropunto di vista, ci fu un decreto di sfratto dai terreni permano pubblica, come avvenne per i fratelli Domenicoe Bartolomeo de Biliotis, ai quali il podestà di Padova,Ludovico Foscarini, notificò lo sfratto in data 30 luglio1467: il procedimento doveva essere esegu<strong>it</strong>o dai pubbliciofficiali «honesto tamen modo», vale a dire rispettandola dign<strong>it</strong>à delle famiglie coinvolte 76 .Verso la fine del secolo si nota la tendenza ad ingrandiregli appezzamenti di terreno concessi agli aff<strong>it</strong>tuari percinque anni; infatti l’abate Simone da Pavia con il suocap<strong>it</strong>olo il 10 dicembre 1493 nel rinnovare il contrattod’aff<strong>it</strong>to a Mainerio a Campis del fu Giovanni di Bertoa Campis per 23 campi, posti a Legnaro e già concessinel 1481, furono aggiunti, in tale occasione, altri 13 perchéil fondo era stato insufficiente per il mantenimentodella sua famiglia, mancandogli la possibil<strong>it</strong>à di trovarealtri terreni da coltivare. L’aff<strong>it</strong>to, della durata di cinqueanni rinnovabili, era gravato di un canone annuo di trestaia di frumento, pul<strong>it</strong>o e ben setacciato, per campo. IlMainerio doveva inoltre al monastero la decima parted’ogni prodotto dei terreni lavorati, s<strong>it</strong>uati entro i confinidel dir<strong>it</strong>to di raccogliere decima del monastero.La corresponsione della decima annullerà altri oneriaggiuntivi, in frumento o in denaro, come avveniva per43

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