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abbiamo persone che non riescono<br />
ad inserirsi nel mondo del lavoro,<br />
abbiamo adolescenti convinti che<br />
l’Aids sia oramai un problema<br />
africano e questo la dice lunga sul<br />
tema dell’informazione, abbiamo<br />
adulti di 50 o 60 anni, il nostro<br />
nuovo target di riferimento, che si<br />
stanno infettando nella totale assoluta<br />
assenza del governo».<br />
Tutto questo indebolisce la battaglia<br />
contro il virus?<br />
«Negli ultimi 5 anni non si è fatto<br />
assolutamente nulla e questo è un<br />
dato, non un’opinione o una semplice<br />
percezione. Il punto è che quando ne<br />
parli meno, sembra che il problema<br />
non esista. Anche l’associazionismo,<br />
che comunque non è sostenuto<br />
dallo Stato, è stato completamente<br />
cancellato. Il governo può decidere<br />
che esiste o che non esiste il problema<br />
e non fare nulla. Purtroppo resta<br />
l’amarezza per il fatto che si è deciso<br />
che il problema non esiste».<br />
Lei si sente una testimonial?<br />
«Sicuramente ho un osservatorio<br />
privilegiato, quello della Fondazione,<br />
quindi vedo e osservo quali sono<br />
le azioni che mettono in campo<br />
tantissime associazioni. Abbiamo<br />
l’adesione di trenta realtà relative a<br />
diverse patologie, quindi riusciamo a<br />
capire cosa sta funzionando e cosa no<br />
della sanità pubblica».<br />
La sua storia ha aiutato ad affrontare<br />
questo difficile percorso con più<br />
coraggio?<br />
«Sono abbastanza umile per non<br />
avere l’arroganza di dire se ho aiutato<br />
qualcuno. Dico solo che qualche<br />
giorno fa, arrivata a Roma, sono<br />
scesa dal treno ed è arrivato da me un<br />
ragazzo di 27/28 anni che mi ha detto:<br />
ti devo ringraziare perché ti seguo<br />
da sempre, non sai quanto mi hai<br />
aiutato...». #<br />
#3D MAGAZINE 15