qdpd n 7.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode
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I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
La “gerarchia” deve ed è sempre pronta ad adattarsi alle situazioni locali non<br />
impone decisioni “dall’alto”, ma propone linee di lavoro, modalità di intervento,<br />
linee di cammino associativo. Le comunità locali, per parte loro, tengono informati<br />
i “vertici” dell’associazione in spirito di comunicazione e di famiglia (propria<br />
delle case salesiane). È un dialogo, continuo, ininterrotto, stabile e duraturo.<br />
E la dimostrazione che tutto ciò funziona è nei fatti concreti e nella vitalità dell’associazione<br />
dei salesiani cooperatori all’interno della Famiglia Salesiana, e<br />
della Chiesa. Coloro che sono chiamati ed eletti a cariche di responsabilità nell’Associazione<br />
si impegnano ad essere fedeli e presenti alla vita associativa. Fedelmente<br />
rinnovano la loro promessa nell’Associazione almeno una volta ogni<br />
tre anni e se ricoprono ruoli di governo sono attenti e consapevoli della responsabilità<br />
partecipando assiduamente alle riunioni e agli incontri in modo da non<br />
creare disagio o addirittura dimissioni per assenze.<br />
La spiritualità del salesiano cooperatore è una spiritualità attiva. È la stessa<br />
spiritualità che don Bosco aveva quando, nel chiasso e nella confusione del cortile,<br />
con tante, ma proprio tante cose da fare da seguire, da organizzare, da vedere,<br />
riusciva a pregare e a sentirsi accanto Maria Ausiliatrice. È la spiritualità<br />
di chi si fida della Provvidenza Divina e dello Spirito <strong>San</strong>to che ha lasciato nelle<br />
mani degli uomini di buona volontà il compito di proseguire qui, oggi ed ora la<br />
costruzione del regno di Dio sulla terra. Almeno un Padre Nostro e tre Ave<br />
Maria al giorno. Per il resto del tempo pregate con il vostro impegno ed il vostro<br />
lavoro. È tutto qui. E la promessa di don Bosco viene mantenuta: “Vi prometto<br />
tanto lavoro, il cibo quotidiano e alla fine un pezzo di Paradiso”. Scusate se è<br />
poco.<br />
“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri<br />
uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono<br />
un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di<br />
uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli<br />
altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi<br />
del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale<br />
mirabile e indubbiamente paradossale”. (Lettera a Diogneto) Ed oggi, come nel II<br />
secolo dopo Cristo, ci sono pochi cambiamenti. Nel lavoro, nella famiglia, nei<br />
figli da curare e da mantenere, nei rapporti con gli altri, occorre dare un senso<br />
ed un perché alle infinite, incontrollabili, caotiche variabili che confondono tutti<br />
gli esseri umani, e il Cristianesimo diventa un esempio necessario, indispensabile<br />
da portare e da mostrare a tutti, con i fatti.<br />
Don Bosco voleva una società fatta di e da “buoni cristiani e onesti cittadini”<br />
che fossero di esempio e di aiuto per tutti. Con giovani abbandonati, sperduti e<br />
dimenticati nella periferia di una città è cominciato un viaggio che ha portato i<br />
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