qdpd n 7.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode
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scolastica Remo L. Guidi<br />
studiosi, e bisognò attendere Francesco <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis perché se ne incominciasse a<br />
capire qualcosa, anzi a parlarne con maggior rispetto, e le sue parole caddero<br />
come un maglio sull’ Italia del Risorgimento («il suo primo e maggior poeta è<br />
Dante»), alla quale il grande critico ricordò pure la perenne attualità del Fiorentino:<br />
«a quattro secoli di distanza il problema si ripresenta, ma i termini sono<br />
mutati. Il punto di partenza non è più l’ignoranza, la selva oscura, ma la sazietà<br />
e la vacuità della scienza, l’insufficienza della contemplazione, il bisogno della<br />
vita attiva». Ecco, qui sta il presupposto dell’assiduo ritorno dei posteri sulla<br />
Commedia nell’ultimo secolo: i problemi su cui Dante rifletteva sono anche i nostri,<br />
le sfide alle quali volle rispondere sono tali da precorrere i tempi e farsi del<br />
presente, oggi come domani. E per spiegare questo enigma si è mossa una centuria<br />
di Maestri che, con pazienza e perizia, hanno cercato di metabolizzare<br />
l’enorme cumulo di elementi teologici, polemici, lirici, storici, linguistici e scientifici<br />
racchiuso in unità invidiabile nei cento canti del poema, per renderlo tollerabile<br />
agli sdegnosi ed elitarî palati dei ragazzi.<br />
Scendere in un’arena, però, nella quale già hanno giostrato da pari loro (ne<br />
ricordo solo alcuni) Scartazzini-Vandelli, Casini, Momigliano, Pietrobono, Sapegno<br />
e Bosco comporta il rischio di figuracce, o l’altro, non meno commendevole,<br />
di operare continui plagi, occultati a fatica con i patetici accorgimenti dei<br />
liceali il giorno della versione in classe.<br />
Così, preso il toro per le corna, Mariacristina Colonna, Laura Costa ed Enrico<br />
Mattioda (il vero motore di spinta della triade) hanno riaperto il testo del padre<br />
Dante, con l’eroico intento di ammannirlo alle scuole: impresa disperata più di<br />
qualsiasi altra, ma non perché il poema sacro abbia perso le malie, ma perché i<br />
giovani vivono da protagonisti nella civiltà (?) dei suoni, delle immagini e degli<br />
internauti. Supporre (o illudersi) di poterli coinvolgere in un testo che necessita<br />
di una traduzione letterale quasi fosse sanscrito, per poi infliggere loro la condanna<br />
a scervellarsi dentro un commento sesquipedale, dove lo scoliaste di<br />
turno gli spiega chi erano quello che fece per viltade il gran rifiuto, l’altro che<br />
tenne ambo le chiavi del cor di Federico, la femmina balba e l’altro ancora di cui<br />
non surse il secondo, è impresa disperata, con meno fortuna di quanti andassero<br />
a cercare la canna da pesca sulla cima del K 2.<br />
E dato e non concesso che gli alunni superino questi scogli perigliosi, come<br />
introdurli nel significato recondito delle allegorie, nella complicatezza dell’impianto<br />
strutturale della Commedia, o nei riscontri astronomici, per poi associarli a<br />
una più facile ricezione delle impennate liriche di Dante, agli scatti irosi del polemista,<br />
alle estasi mistiche, all’ impeto dell’ uomo politico? Perché, insomma, la<br />
Commedia insegna a trasumanare, per accedere dal tempo all’eterno, dai regni<br />
della materia a quelli dello spirito, dalle gioie dei sensi alle ebbrezze celestiali.<br />
Tamen…<br />
Tamen c’è sempre un rimedio, per cui soloni d’oggigiorno, come quelli del<br />
Cinquecento eliminarono le vergogne del Giudizio michelangiolesco con i peri-<br />
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