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PRIMO POLIZZI IL PRIGIONIERO CHE CANTA - liabarone.it

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«Mi venne in mente il romanzo ‘Il prigioniero che canta’ (...) la storia di un condannato a morte<br />

che la notte precedente l’esecuzione riusciva a distaccarsi dal corpo, vivendo fuori dalla<br />

sbarre gli ultimi istanti della sua v<strong>it</strong>a». (26) Una delle tante letture. Il testo, del norvegese Johan<br />

Bojer, singolare e farraginosa rimasticatura del Peer Gynt, consiste nell’improbabile storia di<br />

un uomo che, perennemente insoddisfatto della condizione presente, la modifi ca attraverso<br />

l’immaginazione. Dopo questo, tanti altri romanzi come tanti altri fi lm verranno mentalmente<br />

riletti, rivisti, ricostru<strong>it</strong>i nella loro originaria un<strong>it</strong>à espressiva. Tuttavia sarà del tutto irripetibile<br />

il processo di identifi cazione con il protagonista di questo romanzo, in quanto simbolo della<br />

propria evasione mentale e del progressivo estraniamento dal reale. A tal punto che, durante i<br />

nostri colloqui e nell’approssimazione del ricordo, molte altre trame sembrano coincidere con<br />

questa.<br />

L’estraniamento aumenta in rapporto all’incalzare ed al degenerare degli avvenimenti, e d’altra<br />

parte non è mai totale, bensì funzionale alla volontà di sopravvivere. Determinato, nei momenti<br />

di sol<strong>it</strong>udine – generalmente la sera – da un atto volontario, è soprattutto un r<strong>it</strong>orno all’isola<br />

felice dell’adolescenza: un riappropriarsi consapevolmente, in una s<strong>it</strong>uazione totalmente<br />

anomala, di un meccanismo utilizzato in precedenza, in una condizione di perfetta normal<strong>it</strong>à.<br />

Una pausa per prepararsi a prove più dure, per sopportare meglio le torture e per non cedere<br />

ai tentativi di corruzione degli aguzzini, non certo per isolarsi dall’universo dei suoi simili.<br />

* * *<br />

Nelle carceri di San Francesco, a Parma, diventa amico di don Ferruccio Botti, un sacerdote<br />

antifascista suo compagno di cella, e di un gruppo di partigiani di Casalmaggiore alloggiati<br />

in corrispondenza al piano superiore, che, servendosi di un’ingegnosa quanto rudimentale<br />

carrucola, dividono con lui il contenuto dei pacchi provenienti dall’esterno. (27) Si lega poi a dei<br />

partigiani di Parma con i quali, dopo la carcerazione a Reggio condividerà la permanenza a<br />

Bolzano e parte della deportazione a Mauthausen. Tra i quali Angelo Bianchi, suo compagno<br />

di scuola alle elementari.<br />

«Avevo sempre attorno qualcuno» è lui stesso ad ammetterlo «(...) forse perché ero commissario...<br />

o forse perché ero il più alto di tutti. C’erano sempre quelli che venivano da me per essere<br />

confortati». (28) E tuttavia, a parte pochi altri cenni alla socializzazione costantemente messa<br />

in atto per ev<strong>it</strong>are ogni dannoso isolamento, la sua, più che una testimonianza su persone o<br />

su fatti, assume via via il tono ed il colore dell’autoanalisi indotta dagli eventi. La storia del<br />

recupero della propria uman<strong>it</strong>à e della propria integr<strong>it</strong>à psichica attraverso la difesa quotidiana<br />

del cosmo individuale in un universo estraneo e parallelo.<br />

* * *<br />

26 - Vedere pag. 63 dell’intervista.<br />

27 - Don Ferruccio Botti (Ferrutius), 1905 - 1983. Priore della pieve di Talignano, fu un apprezzato studioso della<br />

realtà locale. Grazie alla sua cultura enciclopedica, le sue pubblicazioni spaziarono dalla storia alle tradizioni locali,<br />

anche in amb<strong>it</strong>o musicale e culinario.<br />

28 - Vedere pag. 66 dell’intervista.<br />

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