PRIMO POLIZZI IL PRIGIONIERO CHE CANTA - liabarone.it
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In questa baracca, appunto – non ricordo se fosse la numero sedici o la numero diciassette<br />
– in un angolo, in fondo, vicino alla stufa, c’erano quattro prigionieri, di cui mi sfugge il nome,<br />
anche perché non li ho più rivisti. Chiesero le mie general<strong>it</strong>à e mi dissero che avrebbero fatto<br />
tutto il possibile per alleviare le mie sofferenze. «Cerca di essere forte – aggiunsero – perché i<br />
russi sono vicini».<br />
Dopo questo incontro, puntualmente, ogni tre o quattro giorni, mi si avvicinava una persona<br />
sempre diversa che non conoscevo, per trasmettermi le notizie che l’organizzazione riusciva<br />
ad ottenere da coloro che pulivano gli uffi ci. Da coloro cioè che erano in contatto con i tedeschi<br />
o che riuscivano a captare le notizie trasmesse per radio o sbirciando i giornali. Eravamo, in<br />
questo modo, sempre al corrente della s<strong>it</strong>uazione. (70)<br />
I contatti non erano unicamente pol<strong>it</strong>ici. Ero riusc<strong>it</strong>o infatti a procurami un giubbotto. Anche<br />
perché c’era sempre qualcuno che circolava per vendere qualche cosa.<br />
Come riuscivi ad acquistare?<br />
Conservando le sigarette che ci davano come premio, quando svolgevamo, entro il tempo<br />
prestabil<strong>it</strong>o, certi lavori.<br />
Quindi, sempre scambi in natura?<br />
Sempre scambi in natura. Mi ero procurato questo giubbotto abbastanza caldo e pesante, che<br />
mi tolsero comunque appena arrivato a Güsen. Di nuovo spogliato... di nuovo a riallacciare i<br />
contatti, le amicizie, ecc. Le mie forze erano agli sgoccioli e soprattutto, non ero più tanto sicuro<br />
di farcela.<br />
* * *<br />
A Güsen la prima sensazione è stata che se non fossero arrivati a liberarci al più presto, ci avrei<br />
lasciato le penne. (71)<br />
Sei rimasto un mese, vero, a Güsen?<br />
Si. Il lavoro era molto pesante.<br />
Per sopravvivere era quindi necessario, come dire, non lasciarsi andare?<br />
Certo. Ma questo già a Mauthausen, quotidianamente, nelle piccole cose. Nella pulizia<br />
personale, per esempio. Ti ho già detto che a Mauthausen ci lavavamo con l’acqua gelida di<br />
una fontana. Le prime volte avevo ev<strong>it</strong>ato di lavarmi. Una mattina, però, notai che il tedesco,<br />
mentre gli passavamo davanti, toccava a qualcuno la testa per sentire se era bagnata. Se era<br />
70 - Sull’organizzazione interna dei deportati a Mauthausen si veda: Giuliano Pajetta, Mauthausen, paragrafo<br />
IX, Come si impedì il massacro, Tecnografi ca, Varese, 1946, www.deportati.<strong>it</strong>; la testimonianza sempre di Pajetta<br />
comparsa su l’Un<strong>it</strong>à del 1945 e riportata in Vincenzo Pappalettera, Nei lager c’ero anch’io, Mursia Casarile (MI)<br />
1973, pp.344-345.<br />
71 - Sulle condizioni dei deportati a Güsen si veda anche la testimonianza di Felice Malgaroli, Domani chissà,<br />
Edizioni L’Arcere, Cuneo 1992 www.deportati.<strong>it</strong>; Natale Pia, La storia di Natale, Joker, Novi Ligure 2005, sempre<br />
nel s<strong>it</strong>o Aned: www.deportati.<strong>it</strong>.<br />
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