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PRIMO POLIZZI IL PRIGIONIERO CHE CANTA - liabarone.it

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Sopravvivere diventa ogni giorno più arduo per chi convive quotidianamente con la morte. Si<br />

muore per il capriccio di un Kapò, per la fatica, per la fame, per la sol<strong>it</strong>udine e l’abbrutimento.<br />

Improvvisamente o lentamente, di giorno o di notte. Sospinti nel vuoto dal calcio di un tedesco<br />

mentre si lavora nella cava, spesso alla sera interrompendo – apparentemente senza ragione<br />

– il dialogo con il compagno di giaciglio.<br />

Tanti sono i cadaveri ammucchiati fuori dalla baracca ogni mattina per essere portati da appos<strong>it</strong>e<br />

squadre di lavoro al Krematorium. Senz’altro uno dei comp<strong>it</strong>i più atroci. Tocca anche a Primo. (41)<br />

Fuori dal forno, le salme vengono consegnate a quei deportati che le bruciano materialmente e<br />

che regolarmente, dopo qualche tempo ed a scopo cautelativo, ne condivideranno la sorte.<br />

Non entrare nel Krematorium rappresenta già una fortuna ed è altrettanto importante non<br />

concentrare l’attenzione su quest’atto, bensì svolgerlo meccanicamente. Tuttavia il ricordo di<br />

quel fumo denso che salendo pervade tutta la vallata, di quelle altissime fi amme liberatorie<br />

ma ossessive per chi resta, di quell’odore acre e dolciastro di «sugo rovesciato e bruciato sul<br />

fuoco», si rinnova nel tempo presente, come nella incombenza di allora, se stimolato da fattori<br />

esterni. Dal tanfo di certi androni maleodoranti, per esempio.<br />

Annusato con il cervello, pur non essendo più lo stesso, riporta là, davanti ai forni, dove era più<br />

netto ed intenso, dove non c’era più spazio per l’immaginazione e per l’orrore in questi muti<br />

testimoni di tanti trag<strong>it</strong>ti ormai conclusi.<br />

Percezione acu<strong>it</strong>a dalla neve, non già bianca ma ormai decomposta dal nevischio, che riporta<br />

la memoria agli ultimi istanti di quel lontano inverno. (42)<br />

* * *<br />

Sopravvivere signifi ca a questo punto concentrarsi sulle poche forze che restano. Il fondo viene<br />

toccato a Güsen: di nuovo in marcia, di nuovo spogliato e rivest<strong>it</strong>o, in un campo ancor più<br />

squallido accanto a deportati ancora più magri ed amorfi , per lavorare nei tunnel sotterranei<br />

alla costruzione degli aerei della Messerschm<strong>it</strong>t.<br />

È a Güsen che r<strong>it</strong>rova Angelo Bianchi: una gioia che si tramuta in sgomento al vedere nel<br />

deperimento organico dell’amico rifl esso il proprio, ed alla notizia della morte di Giuseppe e di<br />

Sergio Barbieri. (43)<br />

Tutto gli sembra inutile ormai, anche la ricerca del padre. Non c’è più tempo per sognare.<br />

Tuttavia, con il trascorrere dei giorni aumentano gli indizi della resa ormai imminente: il tuono<br />

sempre più vicino dei cannoni, gli aerei da bombardamento che sorvolano in continuazione,<br />

l’improvvisa sost<strong>it</strong>uzione dei soldati di guardia con uomini anziani pressoché disarmati ed<br />

infi ne, una mattina, le postazioni delle sentinelle deserte.<br />

E proprio in quei giorni il suo pensiero costante è riuscire ad arrivare con le proprie gambe al<br />

di là del confi ne. «Se muoio di là – è il suo pensiero – non mi interessa, ma io qui non voglio<br />

morire. Per non lasciare in mano ai tedeschi le mie ossa».<br />

41 – Intervista pag. 72 e 85.<br />

42 – Intervista pag 97.<br />

43 - Per la testimonianza di Angelo Bianchi sulla propria esperienza nei lager si veda: Nei Lager c’ero anch’io, a<br />

cura di Vincenzo Pappalettera, Mursia Milano 1973, pagg. 146-148. Angelo Bianchi, nato a Parma nel 1925, fu<br />

arrestato a Parma e deportato da Bolzano l’1/2/1945 a Mauthausen. Liberato a Güsen il 5/5/1945. Venegoni,<br />

ibidem, pag 82. Il libro dei deportati, volume I, tomo 1, pag. 301. Bianchi è morto a Langhirano nel 1976.<br />

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