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Coscienza e responsabilità: Hegel e Croce lettori di Pascal 17<br />
alle molteplici articolazioni di alcuni problemi morali che superano la<br />
stessa collocazione storica secentesca dello scontro fra giansenisti e gesuiti.<br />
Sul problema della responsabilità e della libertà rispetto all’azione malvagia,<br />
Croce sostiene che si può parlare di peccato, ed esprimere <strong>qui</strong>ndi<br />
una riprovazione morale, solo in riferimento ad un agente che possieda,<br />
oltre alla libertà, anche la coscienza di aver peccato. Per conseguenza, avevano<br />
ragione i gesuiti nel sostenere che c’è peccato dove c’è coscienza di<br />
peccare; e perciò è peccatore chi commette peccato ed ha coscienza di<br />
peccare, mentre non è peccatore colui che fa il male senza coscienza di<br />
peccare.<br />
Con rigore consequenziale e con un certo gusto del paradosso provocatorio,<br />
Croce riscatta in questo caso i gesuiti dalle condanne pascaliane<br />
ed hegeliane:<br />
I gesuiti che, contro il Pascal, difendevano che per darsi peccato era necessaria<br />
la coscienza della propria infermità e del rimedio occorrente, – il desiderio della<br />
guarigione e quello di domandarla a Dio, – erano teoricamente dalla parte della<br />
ragione 26 .<br />
Pascal, stupefatto e indignato, avrebbe riproposto a Croce la stessa<br />
domanda che aveva già scagliato in faccia al bon père gesuita:<br />
Come potreste infatti dichiarare apertamente, senza perdere ogni credito nelle<br />
anime, che nessuno pecca senza aver prima la conoscenza della propria infermità,<br />
quella del medico, il desiderio della guarigione, e quello di chiederlo a Dio? Si crederà<br />
sulla vostra parola che coloro che sono immersi nell’avarizia, nell’impudicizia,<br />
nelle bestemmie, nel duello, nella vendetta, nei furti, nei sacrilegi, abbiano<br />
davvero i desideri di abbracciare la castità, l’umiltà, e le altre virtù cristiane? 27 .<br />
A tutto ciò, Croce, impassibile e irriducibile, mantiene la sua posizione<br />
e continua a difendere in linea teorica la tesi dei gesuiti: «Pure è ine<strong>vita</strong>bile<br />
che sia così, se quei loro abiti devono essere considerati (e se realmente<br />
sono) vizî» 28 .<br />
26 B. Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Napoli, Bibliopolis, 1996, p. 198.<br />
27 IV e Lettre Provinciale, SeFe, p. 317.<br />
28 B. Croce, Filosofia della pratica, cit., p. 198.