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quaderni di documentazione locale - Sistema Bibliotecario dell'Area ...

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Da Sotto il Monte al soglio <strong>di</strong> San Pietro<br />

colari rotture e rivalità; ha saputo<br />

riaprire, con un nuovo accento <strong>di</strong><br />

familiarità e <strong>di</strong> stima, il <strong>di</strong>alogo con<br />

il mondo o<strong>di</strong>erno secolarizzato, ed<br />

offrirgli, come pane <strong>di</strong> casa, il dono<br />

della speranza che non inganna»<br />

(Insegnamenti <strong>di</strong> Paolo VI, XI, 568).<br />

VII. Di quell’ormai lontano 3 giugno<br />

1963, della estesa cronaca consegnata<br />

al vaglio della storia, materiale copioso<br />

ed eterogeneo, è rimasto nel tessuto<br />

comunitario non qualcosa <strong>di</strong> indeterminato,<br />

ma <strong>di</strong> autentico e valido.<br />

Le estreme parole <strong>di</strong> Giovanni XXIII<br />

continuano, infatti, ad echeggiare<br />

lungo il cammino <strong>di</strong> molti cristiani<br />

obbe<strong>di</strong>enti alla voce dello Spirito,<br />

<strong>di</strong>sponibili a lasciarsi guidare dal criterio<br />

evangelico del grano <strong>di</strong> frumento<br />

che solo morendo porta frutto<br />

(Gv 12,14): «La mia giornata terrena<br />

finisce, ma il Cristo vive e la<br />

Chiesa ne continua la missione nel<br />

tempo e nello spazio. Le anime, le<br />

anime! Ut unum sint, ut unum sint!» (Gv<br />

17,21) (L. F. Capovilla, Quin<strong>di</strong>ci letture,<br />

185). Poche settimane prima ne aveva<br />

parlato coi rappresentanti delle<br />

Chiese d’Oriente venuti ad auspicare<br />

con lui l’Itinerarium pacis: «Parliamo<br />

<strong>di</strong>verse lingue, ma attraverso l’i<strong>di</strong>oma<br />

<strong>di</strong> ciascuno, appren<strong>di</strong>amo quel che vi<br />

è <strong>di</strong> più dolce, <strong>di</strong> più caro, alto, nobile,<br />

e che sicuramente unisce. Si sente<br />

talvolta parlare <strong>di</strong> canti <strong>di</strong> guerra: essi<br />

vanno sempre a finir male. I nostri,<br />

invece, sono canti <strong>di</strong> pace, e vogliamo<br />

insegnarli al mondo intero; poi-<br />

ché il mondo ha bisogno non <strong>di</strong> ciò<br />

che è contrad<strong>di</strong>zione, asprezza e<br />

lotta, ma <strong>di</strong> quel che è la soavità,<br />

l’amore, la fraternità in nostro Signore<br />

Gesù Cristo» (DMC V, 361).<br />

I bimbi <strong>di</strong> quella primavera del<br />

Concilio Vaticano II, fattisi uomini,<br />

interrogano curiosi ed implacabilmente<br />

critici; i giovani del 1963 sono<br />

i cinquantaseienni – adesso sessantenni.<br />

Tra costoro c’è chi appare<br />

sconcertato. Infatti alcune speranze<br />

sbocciate allora sembra che attendano<br />

una stagione più propizia<br />

dell’attuale; coltivate in fretta, sono<br />

cadute, travolte dalla paura o dalla<br />

temerarietà: «Forse ci siamo abbandonati<br />

troppo a noi stessi – insinuava<br />

il car<strong>di</strong>nal Koenig – ai nostri<br />

pensieri, alle nostre idee, alla nostra<br />

audacia; ci siamo lasciati inebriare<br />

dai numeri e dall’esito esteriore; abbiamo<br />

badato troppo poco a Colui<br />

che ci scruta; forse siamo stati<br />

troppo superbi con le nostre mani<br />

piene <strong>di</strong> fronte a Colui che ama<br />

mani vuote» (L’Osservatore Romano,<br />

7.3.1975). Sembra questa la traduzione<br />

pressoché letterale della risposta<br />

<strong>di</strong> papa Giovanni a un prelato<br />

che trepidava <strong>di</strong>nanzi alla responsabilità<br />

del servizio episcopale:<br />

«Non vi inquietate soverchiamente.<br />

Assumete il mio stesso stato d’animo.<br />

Io mi considero un sacco vuoto che<br />

si lascia riempire dallo Spirito». A <strong>di</strong>fferenza<br />

<strong>di</strong> papa Giovanni abbiamo<br />

l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> denunciare più il male<br />

commesso da altri, che non le nostre<br />

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