Carlo CatassiIstituto di Scienze Materno-Infantili, Università Politecnica delle Marche, AnconaCenter For Celiac Research, University of Maryland School of Medicine, Baltimore (USA)Prevenzione eceliachiaQuando si parla di prevenzione si intende l'insieme delle azioni finalizzate ad evitare il verificarsidi eventi non desiderati. La prevenzione è primaria quando è mirata ad impedire lo sviluppodell'evento patologico, mentre è secondaria quando tende alla diagnosi precoce diuna patologia ormai in atto (es. attraverso uno screening di massa).Fino a qualche anno fa, parlare di prevenzione primaria della celiachia era del tutto illusorio. Allaluce delle recenti scoperte sui meccanismi responsabili dello sviluppo di questa malattia, questa possibilità,per quanto ancora “in embrione”, comincia invece a prendere corpo. Per comprendere lepossibili strategie di prevenzione della celiachia occorre considerare la complessità delle cause checonducono allo sviluppo di questa condizione patologica. La celiachia dipende infatti dalla interazionetra numerosi fattori di predisposizione genetica ed ambientale (Figura), questi ultimi rappresentatisoprattutto dalla quantità e dalla qualità del glutine assunto, dalla tipologia dell'alimentazionein generale, specie nelle prime epoche della vita, e dalle infezioni a livello intestinale. Non essendopossibile (né desiderabile!) modificare l'assetto genetico della popolazione, la prevenzione si ponel'obiettivo di ridurre il rischio di sviluppare la celiachia attraverso uno o più interventi, a livello di popolazionegenerale, sui fattori ambientali.In Italia ed in altri paesi europei il consumo di glutine è molto elevato e corrisponde all'incirca a10-20 g al giorno per persona. Poiché esiste un rapporto diretto tra la quantità di glutine assunta ed ilGeniAmbienteHLADQ2/DQ8+QuantitàGlutineInfezioniQualitàGlutineDietaCELIACHIA66AIC - Vademecum 2008
Prevenzione e celiachiarischio di sviluppare la celiachia, una prima possibilità sarebbe quella di mirare ad una riduzione <strong>dei</strong>consumi di glutine. Al momento attuale questa strategia appare di difficile attuazione, poiché vi èsemmai la tendenza diffusa all'aumento <strong>dei</strong> consumi <strong>dei</strong> prodotti ricchi di glutine, quali pasta e pizza,sia nei paesi occidentali che in quelli in via di sviluppo.Un'altra possibilità preventiva riguarda l'impiego, a fini alimentari, di cereali meno tossici rispettoa quelli utilizzati attualmente. Come è noto, le varietà di frumento di maggiore consumo sonoquello tenero (utilizzato per panificare) e quello duro (utilizzato soprattutto per fare la pasta). Datisperimentali recenti suggeriscono che le frazioni più tossiche del glutine, soprattutto il cosiddetto33-mero (peptide costituito da 33 aminoacidi), siano maggiormente rappresentate nel grano tenero,cioè la varietà che da sola costituisce ben il 90 % <strong>dei</strong> consumi globali di grano. Varietà “primordiali”di frumento, quali ad es. esempio il farro, avrebbero una ridotta capacità di indurre la malattia celiacapoiché contengono una quantità di peptidi tossici notevolmente inferiore rispetto al grano tenero.Non è pertanto fuori luogo ipotizzare che la frequenza della celiachia nella popolazione generale potrebbediminuire qualora vi fosse una sostituzione, almeno parziale, delle varietà di frumento attualicon altre meno tossiche, quali il monococco ed il farro.Assai promettente appare l'intervento sulla alimentazione durante le prime epoche della vita, altrasituazione in grado di influenzare il rischio di celiachia. In primo luogo, numerosi dati indicanoche l'allattamento al seno, specie se prolungato fino all'età di almeno 6 mesi, eserciti una funzioneprotettiva nei confronti dell'intolleranza al glutine. Secondo dati svedesi, il comportamento alimentarepreferibile sarebbe quello di introdurre “tracce” di glutine dai 4 ai 6 mesi quando il lattante è ancoraalimentato esclusivamente al seno. Meno chiaro è invece il possibile ruolo dell'età al momentodel divezzamento, quando generalmente vengono introdotti i primi cereali contenenti glutine. Lapratica attuale è quella di introdurre le prime pappe ed il biscottino attorno all'età di 6 mesi. Mentresembra probabile che una introduzione precoce di glutine (prima <strong>dei</strong> 4 mesi compiuti) possa favorirela comparsa di celiachia, non è ancora noto quale possa essere l'effetto di una introduzione tardiva,ad es. a partire dai 12 mesi, quando la barriera intestinale è più efficace nell'impedire l'assorbimento<strong>dei</strong> peptici tossici del glutine. Questa ipotesi è attualmente al vaglio della ricerca, attraversouna indagine multicentrica italiana promossa da AIC e sviluppata su lattanti a rischio familiare di celiachia.I risultati di questo lavoro saranno disponibili fra qualche anno.Infine, le infezioni intestinali sembrano giocare un ruolo nel favorire il rischio di sviluppare la celiachia.Di recente è stato evocato un possibile ruolo del Rotavirus, uno degli agenti più comuni digastroenterite nel bambino e nell'adulto, largamente diffuso sia nei paesi occidentali che in via di sviluppo.Sembra che gli anticorpi che il sistema immunitario produce in risposta alla infezione da Rotaviruspossano reagire anche contro altre proteine dell'organismo (cross-reazione), quali l'enzimatransglutaminasi. In tal modo sarebbe innescato il meccanismo autoimmunitario che determina, inultima analisi, la lesione intestinale tipica della celiachia. La vaccinazione anti-Rotavirus potrebbepertanto esercitare un effetto protettivo non solo nei confronti dell'enterite causata da questo agenteinfettante, ma anche del rischio di celiachia. Questa ipotesi è tuttavia ancora al vaglio della ricerca,poiché non è chiaro se la risposta immunitaria nei confronti del vaccino sia protettiva verso la possibilerisposta autoimmunitaria indotta da questo agente.In conclusione, in questa nota abbiamo passato sinteticamente in rassegna le possibili strategie,di tipo alimentare o di altra natura, la cui applicazione, a livello della popolazione generale, potrebbedeterminare una riduzione consistente della frequenza di celiachia. Anche in campo preventivo è auspicabileche il continuo progresso della ricerca individui altre strade da perseguire, quali ad es. la“vaccinazione” <strong>dei</strong> soggetti a rischio di malattia.AIC - Vademecum 2008 67
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