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Revista de Estudos so<strong>br</strong>e Teatro de Formas Animadas<<strong>br</strong> />
MÓIN-MÓIN<<strong>br</strong> />
seguaci un “talismano”, un piccolo quadro dove i colori erano usati puri,<<strong>br</strong> />
senza om<strong>br</strong>e, e seguendo solo una verità espressiva ed emotiva individuale.<<strong>br</strong> />
La ricerca di una nuova verginità dello sguardo, di una nuova purezza<<strong>br</strong> />
rompeva le abitudini della rappresentazione e spingeva alla ricerca di nuove<<strong>br</strong> />
forme, “selvagge”, “primitive”, in terre lontane nello spazio (Gauguin a<<strong>br</strong> />
Tahiti, Van Gogh in Provenza) o nel tempo, posando uno sguardo diverso<<strong>br</strong> />
sulle forme sintetiche dell’arte popolare o delle maschere africane. Il corpo<<strong>br</strong> />
particolare della marionetta non appare più <strong>com</strong>e una curiosa o grottesca<<strong>br</strong> />
deformazione del corpo umano, ma <strong>com</strong>e forma che esprime una forte<<strong>br</strong> />
espressività plastica.<<strong>br</strong> />
La intensa e decisiva partecipazione dei pittori nabis e simbolisti (Bonnard,<<strong>br</strong> />
Vuillard, Sérusier) alle innovazioni teatrali realizzate da Lugné-Poe<<strong>br</strong> />
al Théâtre de l’Oeuvre, riproponeva un’idea della rappresentazione, sia in<<strong>br</strong> />
pittura che in teatro, <strong>com</strong>e avvenimento a carattere essenzialmente interiore.<<strong>br</strong> />
Stéphane Mallarmé aveva già da tempo preconizzato un teatro <strong>com</strong>e fatto<<strong>br</strong> />
mentale, poetico, fenomeno spirituale da svolgersi in un “saint des saints”<<strong>br</strong> />
interiore che non poteva essere ingom<strong>br</strong>ato dai tradizionali strumenti della<<strong>br</strong> />
rappresentazione: l’attore e la scenografia realistica.<<strong>br</strong> />
Tutta la paccottiglia della rappresentazione teatrale ottocentesca si<<strong>br</strong> />
sgretolava di fronte ad una esigenza di verità interiore, di rappresentazione di<<strong>br</strong> />
paesaggi dell’anima e finiva per minimizzare l’importanza della “scenografia<<strong>br</strong> />
esatta” secondo l’espressione di Pierre Quillard ripresa da Jarry, Gustave<<strong>br</strong> />
ahn, Maeterlinck.<<strong>br</strong> />
L’utopia di un linguaggio unico, risultato della collaborazione fra le<<strong>br</strong> />
arti, la Gesamtkunstwerk wagneriana, si era incagliata nella scenografia di<<strong>br</strong> />
cartapesta con foreste al chiar di luna, grotte e castelli che avevano fallito<<strong>br</strong> />
alla loro missione di “suggerire” e di ac<strong>com</strong>pagnare le evocazioni della<<strong>br</strong> />
musica. Gli artisti del Théâtre de l’Oeuvre considerano una scena tanto<<strong>br</strong> />
più efficace e suggestiva quanto più semplificata e sintetica. Impresa non<<strong>br</strong> />
priva di rischi poichè, nel 1894, quando Lugné-Poe mise in scena La gardienne<<strong>br</strong> />
di Régnier, un famoso critico teatrale, Jules Lemaître, descriveva le<<strong>br</strong> />
scene parlando di un affresco di Puvis de Chavannes imitato dalla mano<<strong>br</strong> />
incerta di un lattante daltonico. In altri casi, gli scenari erano tanto vaghi<<strong>br</strong> />
da essere piantati alla rovescia, senza che nessuno se ne accorgesse. La vera<<strong>br</strong> />
immagine, insomma, tanto in pittura quanto in teatro, è quella mentale<<strong>br</strong> />
che ogni spettatore ricostruiva nella propria immaginazione a partire da<<strong>br</strong> />
alcuni elementi suggeriti dalla scena.<<strong>br</strong> />
La crisi del concetto di rappresentazione era causa ed effetto di una<<strong>br</strong> />
più generale incertezza sui limiti della realtà detta “oggettiva”, poichè lo<<strong>br</strong> />
sviluppo tecnologico ne aveva spostato i limiti fino ad inglobare l’invisibile,