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I riflessi letterari dell'Unità d'Italia nella narrativa siciliana

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politico: l’invidia e la smania d’arricchire; ed è attento a definirli anche normali in uno come lui, un<br />

secondogenito, un cadetto escluso dalle leggi feudali dal potere.<br />

Il Duca D’Oragua non corre mai grandi pericoli per la causa nazionale, è sempre bravo a<br />

“prepararsi un paracadute nel caso di possibili rovesci”, è amico del barone di Palmi,un liberale di<br />

antica data, socio del Gabinetto di lettura, il covo liberale, a cui si associa anche il Duca, senza<br />

lasciare il Casino dei nobili.<br />

Quando scoppiò la rivoluzione del ’48, il Duca dichiarò che il moto era impreparato e<br />

destinato a fallire e si rifugiò in campagna. Dal momento che è incapace di comprendere gli eventi,<br />

è “corto di vedute” dice De Roberto, si compromette con i liberali ma mantenendo, nello stesso<br />

tempo, le distanze, “dando così un colpo al cerchio e un altro alla botte 71 ”.<br />

Quando arrivò il Principe di Satriano, per riportare ordine in Sicilia, mentre i liberali si<br />

preparavano a difendere la città, con la compagnia di altri borbonici fedeli e di altri liberali traditori<br />

firmò una lettera, presto definita come Libro nero, in cui si invocava il rientro del potere legittimo<br />

dei Borboni, poi si barricò alla Pietra dell'Ovo e accolse presto il generale borbonico che<br />

entrò col suo stato maggiore nel podere degli Uzeda, dove il duca lo accolse come un padrone,<br />

come un salvatore, come un Dio, mentre i cannoni spazzavano la via Etnea, e le truppe regie,<br />

assalite alla Porta d'Aci dal disperato battaglione dei corsi, decimate a colpi di coltello, nell'ora<br />

triste del crepuscolo, da quel manipolo che si sentiva perduto, inferocivano e distruggevano fin<br />

all'ultimo quei mille uomini e sfogavano l'ira sulla inerme città… 72<br />

Il Duca è quindi la perfetta incarnazione della furbizia, dell’opportunismo, mentre gli altri<br />

“ingenui” subivano la dura repressione, morivano lui sopravviveva.<br />

Don Lorenzo Giulente, un vecchio liberale, gli era rimasto amico e lo aveva difeso perché,<br />

dopotutto il Duca non aveva fatto come altri voltaggabana, non aveva chiesto in cambio “né<br />

stipendi, né appalti dalla rivoluzione”, ma prudentemente lo convince ad andare a Palermo, ad<br />

aspettare tempi migliori.<br />

Il Duca si impegna a favorire il matrimonio tra la figlia del suo amico Barone di Palmi,<br />

Matilde, e suo fratello Raimondo, per rinsaldare legami con i liberali, visto poi che sua sorella<br />

Lucrezia si era innamorata di Benedetto Giulente, cominciò ad aiutarla, mettendosi contro il<br />

principe Giacomo.<br />

Molti si dimenticarono della sua viltà passata, ma presto si presentò una nuova occasione<br />

per dimostrare le sue “qualità”, il giorno in cui arrivò la notizia dell'entrata di Garibaldi a Palermo<br />

raccomandò la calma e si disse sicuro che i Borboni sarebbero andati via senza sparare un colpo,<br />

mentre le truppe borboniche si difesero a lungo.<br />

71 De Roberto, F., I Vicerè ,Torino:Einaudi Tascabili,1990, p.111<br />

72 Ibidem, p.112<br />

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