I riflessi letterari dell'Unità d'Italia nella narrativa siciliana
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che il giovane Guido Giacosa si trovò a gestire, in un modo che non piacque a molti, per esempio a<br />
Crispi. Nel 1863 Giacosa accettò il “trasloco” e se ne tornò in Piemonte e alla libera professione di<br />
avvocato.<br />
Leonardo Sciascia, leggendo le carte del processo e quelle private del magistrato, si<br />
convinse che si era trattato di “un complotto borbonico-clericale e autonomista” per seminare il<br />
panico a Palermo e staccare la Sicilia dallo Stato italiano, e interpretò le vicende come un caso di<br />
una nascente “strategia della tensione”destabilizzante.<br />
Nel 1993, un professore di storia contemporanea pisano, Paolo Pezzino rilesse il lavoro di<br />
Sciascia, i documenti d’archivio e pubblicò un saggio 292 offrendo una interpretazione<br />
diametralmente opposta della congiura. Non vi fu un complotto borbonico ma una montatura della<br />
questura e del potente questore Bolis, Direttore generale dei servizi di polizia a Roma, che utilizzò<br />
la manovalanza mafiosa per sbarazzarsi delle opposte fazioni, quella borbonica e quella garibaldina.<br />
Bolis, amico del principe La Farina, apparteneva a una loggia massonica "nemica" di quella cui era<br />
affiliato il senatore Sant' Elia, e avrebbe cercato di "incastrare" quest' ultimo proprio a motivo delle<br />
sue frequentazioni di "fratelli" rivali. Commentò Pezzino in una intervista<br />
Sembra una storia di questi giorni, tante sono le similitudini fra quel complotto montato subito<br />
dopo la proclamazione del Regno d' Italia e i recentissimi drammatici episodi 293<br />
Il riferimento era al clamoroso caso di Bruno Contrada, vice questore di Palermo,<br />
accusato( e poi condannato)dai magistrati di associazione mafiosa, membro dei Cavalieri del Santo<br />
Sepolcro, per ulteriore coincidenza, tra il 1993 e il 1999, dopo le stragi mafiose in cui erano morti i<br />
giudici Falcone e Borsellino, era toccato ad un altro magistrato torinese, Giancarlo Caselli, di<br />
scendere in Sicilia per guidare la Procura di Palermo.<br />
Leonardo Sciascia alternò, <strong>nella</strong> sua “lunga indagine sulla verità”, la forma mista tra il<br />
saggio e la <strong>narrativa</strong> al racconto-inchiesta, la sua particolare forma di scrivere “gialli”, che spesso<br />
affrontano il tema, nuovo per un giallo, della mafia, che costituirono un’ulteriore novità perché si<br />
indagava per pura esigenza di razionalità, individuando i colpevoli, che però restavano impuniti.<br />
292 Pezzino, P.,La congiura dei pugnalatori, Marsilio<br />
293 Calabro' Maria Antonietta,«Quelle pugnalate contro Sciascia»,Corriere della Sera,28 gennaio 1993<br />
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