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VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

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Anche perché, di fronte a un testo di questo genere, il lavoro con gli<br />

attori non può certo andare verso l’approfondimento psicologico, lo<br />

scavo nell’interiorità dei personaggi...<br />

Non avrebbe senso. L’idea stessa di identità individuale viene<br />

messa radicalmente in discussione. C’è un aspetto che mi piace<br />

molto della Modestia: questi personaggi – anzi, questi attori, perché<br />

c’è la condizione del personaggio e quella dell’attore... Ecco, quello<br />

che mi piace è che gli attori non dovrebbero mai sapere con precisione<br />

se stanno in una storia o nell’altra. Quella sensazione di essere<br />

sempre profughi, di vivere continuamente le vite degli altri, mi<br />

pare che sia una caratteristica dei personaggi di Spregelburd. Molte<br />

delle sue commedie – penso al Panico, alla Paranoia – sono «bilocate»:<br />

si svolgono in più posti, in due luoghi se non in quattro.<br />

Dunque emerge la sensazione di essere un po’ i fantasmi di altri:<br />

nella Modestia questa sensazione è fortissima, si usano gli attrezzi<br />

di altri, i personaggi si siedono dove altri si sono seduti, si sdraiano<br />

su letti che appartengono ad altri, perché sono nell’altra storia... È<br />

una cosa bella e interessante: la riflessione sul rapporto tra l’attore e<br />

il personaggio si moltiplica all’ennesima potenza.<br />

Su Spregelburd avevi un piano più ambizioso rispetto alla messinscena<br />

di un unico testo.<br />

Sarei partito quest’anno portando in scena io tre testi suoi, e poi in<br />

futuro mi sarebbe piaciuto allargare l’esperienza anche ad altri colleghi,<br />

per presentare tutti i sette testi della Eptalogia.<br />

Forse ci si riuscirà, con il tempo.<br />

Farò di tutto per riuscirci, perché mi pare che si tratti di un autore<br />

che merita di essere conosciuto. Molto teatro contemporaneo prende<br />

i suoi temi dal giornalismo, dall’attualità, dalla cronaca: a volte<br />

questo dà origine a testi belli, altre volte a testi meno belli, ma sempre<br />

un po’ precotti. Spregelburd è invece un autore che si è affidato<br />

a una percezione della contemporaneità che corrisponde al nostro<br />

tempo ma non è cronachistica, lavora sull’immaginario. Ho sempre<br />

pensato che in teatro un tema contemporaneo, se lo cali nelle<br />

forme e nelle strutture consuete (il personaggio, il dialogo, la trama,<br />

l’intervallo, eccetera), alla fine tanto contemporaneo non risulta.<br />

Gira e rigira, quei testi sembrano tutte commedie dell’Ottocento:<br />

quelle forme non riescono più a contenerci, non ci stiamo<br />

più dentro...<br />

Un altro aspetto che ti ha incuriosito è che questi testi non sono scritti<br />

da un letterato, ma da un uomo di teatro.<br />

Lo senti subito! Una battuta di Schiller o di Ibsen può essere recitata<br />

bene o recitata male, ma resta, ha una sua autonomia. Invece<br />

una battuta di Spregelburd pretende di essere recitata.<br />

Perché non è letteratura?<br />

È anche letteratura, e questo è il suo bello. Però va in due direzioni<br />

diverse: da una parte c’è un gioco letterario, e infatti il testo, se<br />

lo leggi, funziona benissimo; d’altra parte, però, se il gesto e la voce<br />

non se ne fanno carico, improvvisamente quel gioco sparisce e rischia<br />

di restare solo una lettera piatta. Tenendo presente che il gesto<br />

e la voce dell’attore apparentemente possono dare molto, ma possono<br />

anche togliere molto.<br />

Un altro aspetto che conferma la forza di questo testo è la precisione<br />

dei rapporti tra gli attori, tra i personaggi, tra gli spazi, tra i tempi...<br />

È una consapevolezza che un autore può raggiungere solo se è abituato<br />

a fare teatro, a muovere gli attori in scena.<br />

Del resto le didascalie che costellano il testo sono fatte sulla rappresentazione.<br />

Le ripropongo tutte, perché fanno parte del testo.<br />

A volte nel caso dei classici sei andato «contro» il testo. Nel caso di<br />

un autore contemporaneo si può fare? Ha senso farlo?<br />

È un po’ difficile. I classici ormai sono diventati una terra di nessuno.<br />

Però con un testo contemporaneo, invece, è possibile in qualche<br />

modo sbagliarsi, cadere in qualche equivoco, non capire.<br />

Stai facendo lavorare duramente gli attori. Anche perché non devono<br />

sbagliare...<br />

Non è facile. Devono capire bene perché ci sono quelle parole,<br />

perché quella parola ne chiama un’altra... La maggior parte degli<br />

attori ha sempre la tendenza alla psicologia, alla ricerca della verità.<br />

Con questo testo diventa molto difficile.<br />

A quel punto, però, se gli attori non si possono agganciare a questo,<br />

che cosa resta?<br />

Devono trovare qualcos’altro a cui agganciarsi. Per esempio, c’è<br />

una scena in cui un personaggio – quello che interpreta Fausto Russo<br />

Alesi – gioca a carte un gioco che non conosce e contemporaneamente<br />

tratta un affare. Potrebbe diventare una specie di cliché comico,<br />

ma in realtà viene molto meglio, ed è più divertente, se senti<br />

che l’attore si mette in una specie di bilocazione reale: può ascol-<br />

tare e giocare, controllando contemporaneamente due codici completamente<br />

diversi. È una facoltà che esiste, c’è qualcosa di reale, di<br />

fisiologico. Sono procedimenti mentali e cognitivi che possiamo seguire,<br />

una situazione in cui le parole ti vengono da sole e non devi<br />

andarle a cercare...<br />

Questo meccanismo è già presente nel testo?<br />

Sì, e l’attore deve eseguirlo. Questo non vuol dire che non ci deve<br />

mettere del suo: però può metterci qualcosa di suo solo dopo aver<br />

restituito quello che c’è nel testo: per l’appunto questo essere perennemente<br />

bilocati.<br />

La bilocazione è una qualità che attribuivi in senso generale alla<br />

drammaturgia di Spregelburd, e che si riflette anche nel lavoro<br />

dell’attore.<br />

La nostra tendenza «italiana» consiste nel recitare sempre per<br />

convincere l’altro. L’attore cerca di essere convincente, vuole avere<br />

ragione. Invece in questa commedia l’obiettivo è frastornare,<br />

deviare...<br />

Tutto questo sullo spettatore che effetto può o deve avere?<br />

Nel migliore dei casi, dovrebbe accadere quello che capita con certi<br />

film di Hitchcock, come Marnie o La finestra sul cortile: capisci<br />

che tutto quanto ha una regola, però fatichi un po’ a trovarne<br />

la chiave.<br />

Il pericolo è che la chiave venga fuori troppo facilmente?<br />

Oppure che non venga fuori affatto...<br />

L’altro aspetto interessante della drammaturgia di Spregelburd, come<br />

abbiamo visto, è che offre diversi livelli – e dunque chiavi – di lettura.<br />

C’è lo spettatore a livello – diciamo così – di telenovela, che viene<br />

catturato dalla trama, dalle vicissitudini dei vari personaggi. C’è<br />

lo spettatore in grado di decodificare i riferimenti più o meno colti, teatrali,<br />

letterari e cinematografici, e quindi si diverte ironicamente a<br />

smontare il meccanismo... Ma sotto c’è ancora qualcos’altro?<br />

Be’, qualche ambizione filosofica c’è. Vuole essere un teatro scientifico,<br />

in qualche modo.<br />

L’oggetto di questa scienza?<br />

La perdita d’identità è sicuramente un tema.<br />

(Milano, 16 maggio 2011)<br />

«La modestia» 2:<br />

un imbroglione con un senso etico fortissimo<br />

Nel corso delle prove, rispetto alla tua lettura del testo di Spregelburd<br />

e al progetto iniziale, quanto spazio è rimasto a te e<br />

agli attori per cambiare la tua visione della commedia e dello<br />

spettacolo?<br />

La prima cosa che ho detto agli attori, il primo giorno di prova – e<br />

a quel punto si sono quasi spaventati – è: «Guardate che io non sono<br />

per niente preparato. Non ho un progetto già fatto, ma credo di<br />

conoscere molto bene la commedia. Però non mi sono posto il problema<br />

di quello che ne deve venir fuori». Non è che mi capiti sempre<br />

di trovarmi in una situazione del genere, ma in questo caso ci ho<br />

voluto provare.<br />

Mentre di solito, quanto inizi a provare, hai già preparato la messinscena<br />

nei dettagli? Dalla caratterizzazione dei personaggi ai movimenti<br />

degli attori…<br />

No, questo non mi capita mai. In questo caso avevo in mente diverse<br />

ipotesi, diciamo tre o quattro possibilità di lettura del testo o<br />

di una determinata scena. Secondo me questo è un buon punto di<br />

partenza. In genere mi dico: «Be’, questa scena potrebbe essere così,<br />

ma potrebbe anche essere fatta in quest’altro modo». È una logica<br />

combinatoria: le commedie di Spregelburd sono costruite proprio<br />

così, ed è per questo che mi piacciono. Dunque penso che il mio fosse<br />

l’atteggiamento giusto per affrontare un testo come questo… Poi,<br />

come sempre, durante le prove sono arrivati momenti di difficoltà.<br />

E la difficoltà può essere risolta pensando: «Be’, forse questa cosa<br />

qui è quest’altra». […]<br />

Spregelburd lavora per citazioni, rimandi, frammenti, e per accumulo.<br />

Dunque è come se mettesse moltissime virgolette all’interno<br />

della sua scrittura drammaturgica. In genere, tu hai lavorato con gli<br />

attori proprio togliendo queste virgolette, chiedendo loro di prendere<br />

il testo alla lettera, battuta dopo battuta: «Siete in questa situazione,<br />

e dunque dover comportarvi di conseguenza».<br />

Ma contemporaneamente, quando gli attori sono in una delle due<br />

situazioni, diciamo nella vicenda russa, sono anche in quell’altra,<br />

quella sudamericana…<br />

Però introducendo questo gioco del teatro nel teatro, è come se aggiungessi<br />

altre virgolette.<br />

le biennali 2012 — teatro — appendice<br />

focus on 17

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