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VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

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po spazio nella generale economia» (p. 278). Ma questa peculiarità<br />

dei temi wagneriani, elementi di un cosmo in divenire<br />

(e non albero genealogico), di quella melodia infinita<br />

che lungi dall’essere isolata e ridefinita come forma chiusa –<br />

secondo una consuetudine pratica cui aderì per convenienza<br />

lo stesso Wagner – trova una sua ragion d’essere proprio<br />

nel suo vivere nel tempo, e quindi nel suo continuo trasformarsi,<br />

in quel suo cangiare quasi biologico che dalla nascita<br />

giunge all’estinzione, questa peculiarità dei temi, dicevo, è<br />

un tratto che, come suggerisce Bortolotto, può ritrovarsi anche<br />

«nella genesi della Comédie humaine e, in scala minore,<br />

nei Rougon-Macquart o, fra gli scrittori moderni, nelle complesse<br />

parentele diramantesi nella saga di Yoknapatawpha,<br />

in Faulkner» (p. 41).<br />

E proprio il parametro della «inattualità», nel rendere più<br />

segnatamente sensibile il rapporto di Liszt con Wagner, si allarga<br />

in maniera oltremodo significativa nel reclamare una<br />

più incidente considerazione del musicista ungherese. Lo si<br />

coglie nella sicura evidenza impressa al profilo del musicista<br />

magiaro-franco-tedesco nel bellissimo saggio Liszt o la coscienza<br />

romantica 7 , dal quale la visione si allarga verso orizzonti<br />

inattesi. Indubbio, dice Bortolotto, il riconoscere la<br />

grandezza di Liszt per la complessità ch’egli è andato diramando<br />

su vari fronti, dalla tecnica alla concezione formale,<br />

al gusto, ma ciò che più «allarma» è lo sperimentalismo<br />

e l’eterofonia, quest’ultima in particolare, «un modo di modernità<br />

schiacciante, un’espressione radicale di décadence».<br />

E proprio nel grembo indistinto in cui tali elementi si muovono,<br />

sovrapponendosi talora a più rassicuranti linee guida,<br />

si cela il senso più occulto, più istigante anche, dell’eredità<br />

lisztiana; fino a pensare che si stia «riscoprendo in lui la profezia<br />

di lontani approdi informali» 8 .<br />

Anche per Liszt, come per Wagner, il cammino di Bortolotto<br />

si muove sempre seguendo le ragioni della musica,<br />

esplorate nelle possibili declinazioni delle tante virtualità, a<br />

garantire un’autenticità dai rischi di ogni possibile contaminazione<br />

letteraria o agiografica. In altre parole, egli si sottrae<br />

ben consapevolmente alle insidie del wagnerismo, pur da lui<br />

osservato con quella lunghezza di sguardo, non poco cinica<br />

anche, che lo protegge da ogni «infezione». Una voce per<br />

questo ben sbalzata sul fondale di una tradizione come la nostra,<br />

in cui il wagnerismo si è innervato come termine di confronto<br />

in un ben diversificato tessuto di cultura. Un quadro<br />

che Adriana Guarnieri ha ampiamente ricomposto nel già citato<br />

Tristano, mio Tristano, prezioso gioco d’intarsi, ricchissimo<br />

variegato mosaico tra le cui tessere il «caso Wagner»<br />

si insinua come sottile provocazione, specchio riflettente anche<br />

di più segreti disagi.<br />

Wagner l’oscuro nasce da un confronto inesausto di Bortolotto<br />

con l’opera wagneriana, benché talora scandito in maniera<br />

occasionale: alcuni capitoli sono infatti ripresi da saggi<br />

apparsi in varie occasioni, programmi di sala, presentazioni;<br />

contingenze poi ricomposte attraverso la naturale progressione<br />

cronologica. Ma è soprattutto il filo che va snodandosi<br />

da questo viaggio gremito e avventuroso ad assicurare l’organicità<br />

del percorso, un filo che affiora sempre più significativamente<br />

da un cammino a senso unico, indirizzato all’affermazione<br />

della musica; dopo aver preso le mosse dall’imperioso<br />

statuto teorico del Wort-Ton-Drama, Bortolotto mostra<br />

come le «azioni della musica» vadano facendosi sempre<br />

più «visibili». La vistosa parentesi aperta da Wagner durante<br />

l’Atto II del Sigfrido, con la composizione del Tristan e<br />

dei Meistersinger, segna un trapasso sensibile. Tanti i segnali<br />

di questa presa di coscienza; sintomatica un’annotazione<br />

di Cosima nel suo diario, l’11 febbraio 1872, in cui viene ri-<br />

A destra: Franz Liszt.<br />

ferito un pensiero di Wagner, in quel periodo intento a correggere<br />

le bozze di Oper und Drama: «So quello che là dentro<br />

non conviene a Nietzsche, è ciò che è spiaciuto a Kossak,<br />

e che solleva Schopenhauer contro di me: è quanto dico del<br />

Verbo: in quel tempo non ero ancora capace di dire che era la<br />

musica ad aver dato origine al dramma, e tuttavia, interiormente,<br />

lo sapevo». Ancora Cosima, sei anni dopo, nel 1878,<br />

riferisce di un Wagner irato per una questione di «costumi<br />

e trucco», che si sfogava dicendo, dopo «aver creato l’orchestra<br />

invisibile», di voler «inventare il teatro invisibile». La<br />

questione, come ben si sa, è complessa e tanti sono gli aspetti<br />

contradditori su cui gli studiosi hanno dibattuto. Bortolotto<br />

la gestisce con la consueta sottigliezza; il che non gli<br />

impedisce di far l’occhiolino all’amato Stravinskij: «Là dove<br />

può sembrare che l’assunto ideologico vacilli – scrive, –<br />

interviene il “golfo mistico”: che mai come ora avanza pretese<br />

legittime per la tronfia designazione» (p. 282). Pretese<br />

che il nostro amico, altrettanto puntiglioso nel frugare entro<br />

gli angoli più riposti del disordinato magazzino<br />

da cui Wagner attinge i materiali per le sue ricreazioni<br />

poetiche, individua con acutezza<br />

fulminante, osservando attraverso la lente<br />

del suo penetrante microscopio ogni<br />

minimo passaggio, quasi che, nel chiudere<br />

quel cerchio da cui sono partite le<br />

diramazioni più imprevedibili, si sentisse<br />

sospinto dalle parole del musicista<br />

ormai vecchio, che sentiva Bach<br />

«come la radice delle parole. I rapporti<br />

di quest’opera con ogni altra musica<br />

sono quelli del sanscrito con le altre<br />

lingue». E quindi dar l’impressione<br />

di accondiscendere all’idea che Wagner,<br />

terminato il Parsifal, sognasse<br />

di lasciare il teatro, «dimostrarsi<br />

un musicista vero, fuori dalle lusinghe<br />

dell’azione scenica». Ma subito<br />

se ne ritrae, consapevole che in questo<br />

modo si uscirebbe «dal continente<br />

Wagner» per addentrarsi «nello<br />

scialbo territorio delle supposizioni»<br />

(p. 36). Ossia per entrare in<br />

un’altra dimensione di oscurità. ◼<br />

note<br />

1. Significativo il pensiero di Enrico De Angelis espresso nel saggio I<br />

maestri cantori. Lettura di un’«opera» pubblicato nel Numero unico del<br />

49° Maggio musicale fiorentino 1986, a cura di Mauro Conti, Alberto<br />

Paloscia, Annalena Aranguren, Ente autonomo del Teatro Comunale di<br />

Firenze, Firenze 1986, pp. 129-41, e così riassunto da Adriana Guarnieri<br />

Corazzol in Tristano, mio Tristano. Gli scrittori italiani e il caso Wagner,<br />

il Mulino, Bologna 1988 («Saggi», 347), p. 361: «ha […] suggerito quale<br />

dimensione wagneriana più autentica (più moderna, novecentista appunto)<br />

quella comico-“moderata” (liberatoria ma non eversiva) dei Maestri<br />

Cantori; proponendo quale cifra privilegiata di questo “dramma satiresco”<br />

la parodia dell’opera tradizionale e sottolineandone quindi significativamente<br />

i caratteri ‘neoclassici’ (prestiti, citazioni, inversioni di<br />

senso, autocitazioni ironiche, effetti a sorpresa, ecc.)».<br />

2. Mario Bortolotto, Prefazione (1966), in Theodor Wiesengrund<br />

Adorno, Wagner (1952), prefazione e cura di Mario Bortolotto, Einaudi,<br />

Torino 2008 («Piccola biblioteca Einaudi», 414); prima ed. it. in Id.,<br />

Wagner – Mahler. Due studi, Einaudi, Torino 1966 («Saggi», 376).<br />

3. Ivi, p. XXIII.<br />

4. Fedele d’Amico, Il dio Wagner (1983), in Id., Tutte le cronache musicali.<br />

«L’Espresso» 1967-1989, 3 voll., a cura di Luigi Bellingardi, con la<br />

collaborazione di Suso Cecchi d’Amico e Caterina d’Amico de Carvalho,<br />

prefazione di Giorgio Pestelli, Bulzoni, Roma 2000, III (1979-1989),<br />

pp. 1989-1993: 1993.<br />

5. Bortolotto, Prefazione, in Adorno, Wagner cit., pp. XXIII-XXIV.<br />

6. Ivi, pp. XXII-XXIII.<br />

7. Scritto nel 1970, è ora confluito in Bortolotto, Corrispondenze,<br />

Adelphi, Milano 2010 («Saggi. Nuova serie», 65), pp. 88-101.<br />

8. Le due citazioni si leggono ivi, rispettivamente alle pp. 100 e 101.<br />

Il provetto stregone 71

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