31.05.2013 Views

VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

70<br />

Mario Bortolotto e le vie della musicologia<br />

quale, nel rimarcare l’«unità di stile», scorge in questa vicinanza<br />

un momento nodale di quella stretta tra stile e linguaggio<br />

che prefigura le strade della modernità: fino a quel<br />

«punto di bruciante identità» realizzato da Anton von Webern<br />

(pp. 334-335).<br />

Il mio approccio al libro, partendo dai Meistersinger, è stato<br />

un repentino precipitare in medias res, cosicché ancor<br />

più sollecitante è risultato poi il risalire alle origini di questo<br />

straordinario viaggio entro l’«oscuro». Con una guida<br />

tanto avvincente quanto impegnativa: scherzosamente,<br />

si potrebbe parafrasare: «Bortolotto l’oscuro». Ma nel<br />

senso ch’egli ci consente di entrare nell’oscurità wagneriana,<br />

svelandocene i tratti che da quelle tenebre vanno via via<br />

definendosi, superando le contraddizioni più apparenti per<br />

stabilire una nuova complicità. La stessa cosa, insomma,<br />

che Bortolotto aveva fatto in Dopo una battaglia, ricreando<br />

una prospettiva inattesa della Francia dopo Sédan, o in Est<br />

dell’Oriente, dove ci aveva introdotto nei più riposti scenari<br />

della musica russa. Con Wagner Bortolotto ci rende partecipi<br />

di quel mondo fatto, com’egli dice, di «quasi inafferrabili<br />

fugacità, nebule intangibili, fibrillazioni tessutarie, collisioni<br />

cromatiche, microcosmi sfumanti in un magmatico habitat<br />

sinfonico» (pp. 183-184). Terreno oltremodo<br />

provocante per il Nostro, nel<br />

contrasto tra questo avventuroso universo<br />

linguistico e immaginario e la<br />

statura umana del mistificatore. Un<br />

contrasto irrisolvibile: «Impossibile<br />

affatto sarebbe procedere a districare<br />

nell’amalgama psichico, e verbale, di<br />

sincerità, mendacio, estetismo, egoismo,<br />

posa, generosità sconfinata» (p.<br />

22). E tuttavia il gioco è avvincente, e<br />

infiniti sono i labirinti attraverso cui<br />

Bortolotto ci guida, con le sue imprevedibili<br />

vividezze, le scorciatoie inaspettate<br />

quanto rivelatrici.<br />

Un viaggio, del resto, lungo il quale<br />

Bortolotto aveva già accompagnato<br />

il lettore nella prefazione<br />

all’edizione italiana del saggio di<br />

Adorno 2 , laddove sospingeva lo<br />

sguardo verso regioni più arcane,<br />

inesplorate – «il discorso su<br />

Schönberg si deve di necessità inserire<br />

nella prospettiva del Versuch» 3 , – sul<br />

filo di quella ambivalenza che troverà pure riverbero nel pensiero<br />

di Fedele d’Amico per giustificare come «tutto, dopo<br />

Wagner, diventa problema» in quanto «eterna resta l’ambiguità<br />

fra la tensione nichilista dell’inestirpabile eresiarca<br />

e la bronzea concretezza delle figure che ne son messe in moto»<br />

4 . Bortolotto sembra andare ancora oltre nel creare aspettative<br />

di lunghissima gittata, conseguenza del «negativo»,<br />

pur non celando la disillusione nella scettica chiusa: «Gli<br />

orologi della musica senza aggettivazione, arrestatisi simpateticamente<br />

nel febbraio 1883, il giorno 13 (in obbedienza<br />

al numero vitale del musicista) sul frammento Liebe-Tragik<br />

di Palazzo Vendramin, segnano adesso, meccanici ossimori,<br />

l’ora delle serenate» 5 .<br />

Un Wagner diverso, appunto, non riportabile entro linee<br />

definite, neppure rassicuranti, a considerare l’enorme sfrido<br />

che dall’imponente impresa è andato determinandosi. Anche<br />

questo fa parte dell’effetto Wagner, di quel gorgo avvitato<br />

dalla sua concezione musicale e, più ancora, dal suo linguaggio<br />

votato alla dissoluzione: la musica, come intuito da<br />

Schopenhauer e da Nietzsche, quale «arte del tramonto»,<br />

a disegnare l’arcata discendente in fondo alla quale, «ulti-<br />

ma tappa del sublime romantico» – scriveva Bortolotto nella<br />

prefazione al saggio di Adorno su Wagner – è «il Kitsch» 6 .<br />

Aloni fumosi quelli emanati da questo termine; quel fumo<br />

che costituiva la ragion d’essere degli adepti («Il wagnerismo<br />

[…] un rituale asiatico, baudelairianamente “impregné<br />

d’odeurs”»: p. 16), i Wagnerianer e, nella diramata idolatria<br />

francese, i Wagnerites, fino all’eccitazione di un Catulle<br />

Mendès il quale esclamava «Christ, Berlioz et Wagner, divins!»<br />

(p. 15). Un terreno in cui Bortolotto brucia tutta la<br />

sua sagacia, con una circolarità di movenze capace di mettere<br />

a frutto la banalità del gossip attraverso iperboli accecanti,<br />

che partendo dalle situazioni del divenire quotidiano ci pongono<br />

di fronte a snodi essenziali, facendoci intendere il senso<br />

ineludibile di un lascito. Lascito che va depurato, comprensibilmente,<br />

dalle incrostazioni sedimentate sul personaggio<br />

Wagner, pur esse però significative, come pure dalle infinite<br />

complicazioni innescate dal suo rapporto coi contemporanei,<br />

e con Liszt in particolare. Al quale non esitava a confessare<br />

«come musicista mi sento tale da far pietà» – pendant<br />

al giudizio impregnato di sufficienza sul futuro suocero:<br />

«non è che un musicista!».<br />

Una presenza, quella dell’ungherese, che nelle pagine di<br />

Bortolotto rivive non tanto in termini<br />

di rivendicazione quanto<br />

piuttosto innestata nel<br />

comune parametro dell’«inattualità».Molte,<br />

infatti, sono le situazionimusicali<br />

di Liszt che possono<br />

considerarsi incunaboli<br />

di Wagner; la più<br />

nota, la melodia dalle Campane<br />

del duomo di Strasburgo,<br />

che ritroviamo nel Parsifal<br />

quale motivo che accompagna<br />

il corteo funebre di Titurel<br />

(e che poi, simbolicamente, Liszt<br />

riprenderà nel tardo Am Grabe<br />

Richard Wagners per pianoforte).<br />

Bortolotto è chiarissimo nello<br />

sfatare la nebbia: «La distanza da<br />

Liszt è radicale, nonostante l’affinità<br />

apparente: l’atteggiamento di Wagner<br />

punta sull’estensione del principio<br />

tonale, laddove Liszt indaga plaghe<br />

ignote con attenzione meramente acustica, sperimentale<br />

nettamente» (p. 428). Più che il bilancio dei crediti, in parte<br />

riconosciuti da Wagner, in particolare quelli verso i poemi<br />

sinfonici, nonostante la sua iniziale sfiducia nella musica a<br />

programma (mentre risulterà insensibile, se non disgustato,<br />

dalle estreme pagine sperimentali, a tal punto ritenute frutto<br />

di uno squilibrio da chiamarne l’autore «re Lear»), emerge<br />

la comunanza di una particolare tensione formale nel gestire<br />

il rapporto con la parola. Tensione che per Wagner vede<br />

la sua naturale proiezione nel modo di concepire il tempo,<br />

miticamente, come uno scorrere circolare entro cui affiorano<br />

e agiscono, quali presenze riconoscibili, i temi, non organismi<br />

compiuti in sé, nella loro fisionomia grafica, avverte<br />

Bortolotto, bensì puro dato temporale, proprio come l’intermittence<br />

proustiana. Puntualissimo il rimbalzo attraverso<br />

la figura del «barone di Charlus, perno della Recherche; ove<br />

svolge insieme pratica di delucidazione e d’arbitraggio, e soffre<br />

passione sacrificale. Al pari di Wotan, non occupa trop-<br />

A sinistra: Friedrich Wilhelm Nietzsche.<br />

A destra: Arthur Schopenhauer.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!