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VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

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Bortolotto l’oscuro<br />

Il mio primo incontro con Wagner l’oscuro<br />

(Adelphi, Milano 2003) è avvenuto quasi in concomitanza<br />

con una bella proposta dei Meistersinger al Maggio<br />

musicale fiorentino 2004, il che mi ha naturalmente<br />

guidato a iniziare la lettura dal capitolo dedicato a quest’opera:<br />

a incorniciarlo, un titolo sottilmente allusivo, «La città,<br />

il profumo». Ed è stata subito coinvolgente occasione<br />

per ritarare lo strumento<br />

che convenzionalmente,<br />

e non poco<br />

passivamente, viene<br />

spesso applicato<br />

a quest’opera, nata a<br />

fianco del Tristan, durante<br />

l’ampia interruzione<br />

apertasi lungo il<br />

defatigante cammino<br />

creativo del Ring<br />

– «un’opera tra parentesi»,<br />

come scriveva<br />

l’autore a Cosima;<br />

per modificare, dunque,<br />

quelle misure che<br />

sembrano sovente costringerla<br />

entro una<br />

proiezione retrospettiva,<br />

quella di un Wagner<br />

che si rifugia nel<br />

passato, nel contrappunto,<br />

nella positività<br />

operosa di personaggi<br />

riconoscibili 1 , piuttosto che avventurarsi in altre ben più avvolgenti,<br />

non poco sibilline, spire.<br />

Aggiustare il tiro rispetto alla semplificazione è per Bortolotto<br />

fin troppo scontato; gli basta ricordare (p. 347) il chiarimento<br />

di Nietzsche: «Chi rimane sorpreso dalla vicinanza<br />

del Tristan coi Meistersinger, non ha capito, in un punto<br />

importantissimo, la vita e la natura di tutti i Tedeschi veramente<br />

grandi: non sa su quale terreno soltanto può crescere<br />

quella gaiezza propriamente ed unicamente tedesca di Lutero,<br />

Beethoven e di Wagner». Per poi innescare tutte le sue<br />

qualità introspettive nello sciogliere i nodi insiti nello stesso<br />

stacco del soggetto, non più innervato nel mitico o nel leggendario,<br />

ma arroccato alla storia ancora palpitante di una<br />

città: ecco quindi rinsaldata l’unità che ricomprende l’intera<br />

vicenda wagneriana. Di questa, infatti, i Meistersinger sono<br />

solo un altro aspetto, avvinti da una segreta continuità,<br />

oltre che dalla contiguità cronologica, con il Tristan, come a<br />

ribadire la profonda unità di questa «paradossale dilogia»<br />

(p. 353), dove la chiarezza dell’una, anche quella lunare della<br />

notte di San Giovanni, sembra fugare i più inquieti spiriti<br />

della notte che attraversano la partitura gemella. L’acutezza<br />

di Bortolotto è oltremodo penetrante nel leggere in filigrana<br />

i sottili intrichi di questo nodo: se, com’egli dice, i Meistersinger<br />

«enunciano la regola» (p. 341), nondimeno affiora<br />

insinuante «la volontà del nuovo», espressione che sembra<br />

attivare le segrete consonanze baudelairiane, e con esse<br />

lo spettro della «distruzione della lingua», spettro che fin<br />

dai suoi inizi critici ha accompagnato la sensibilità del Nostro.<br />

Centrale, in tale intreccio di tensioni opposte, è la figu-<br />

A destra: Richard Wagner.<br />

di Gian Paolo Minardi<br />

ra di Sachs, il cui profilo l’autore disegna con quella ricchezza<br />

e, pure, con quell’ambiguità di tocchi che smussa, confondendone<br />

le tensioni, certi tratti troppo netti, così da coglierne<br />

la complessità: «Lo sguardo di Sachs, – scrive Bortolotto<br />

– di lui solo, ha doppio orizzonte, l’eccezione e la regola, il<br />

nuovo e il bello» (p. 343). Può sembrare quasi un autoritratto<br />

di Wagner, trascinato da quel «demone dalla vertiginosa<br />

energia trascinatrice» (p. 344) che è il Wahn, il senso illusorio,<br />

sottile follia, che nella sua mobilità insinuante si apre alle<br />

più insospettate riverberazioni musicali: fino alla decantazione<br />

suprema del Quintetto, «musica assoluta: o almeno,<br />

[…] quanto in Wagner più le si accosta» (p. 352).<br />

Il Wahn come traccia sotterranea che delimita e insieme<br />

unisce le due opere, Tristan e Meistersinger; irradiato attraverso<br />

vari poli, esso trasmette il senso più recondito di un<br />

pensiero che nutre la musica, quasi sollecitando inafferrabili<br />

presentimenti. Bortolotto, con la sua sensibilità da rabdomante,<br />

sorretta dal dominio di letture sconfinate e dalla capacità<br />

di riattivarle entro prospettive attuali, segnala alcuni<br />

indizi preziosi, luci penetranti, utili a orientarci, seppur come<br />

sprazzi fugaci dell’inconscio, entro la fascinosa, non di<br />

rado disarmante, oscurità. È quanto, appunto,<br />

va attraversando l’animo di Sachs, quel suo<br />

modo di praticare il ruolo di «maestro»,<br />

consapevole che il rispetto della regola<br />

non può non divenire proiezione<br />

di nuove situazioni, di nuovi sentimenti.<br />

Motivo centrale dell’opera,<br />

questo, attestato dalla diversità<br />

delle reazioni: «Hanslick<br />

perse il controllo: “se i Meistersinger<br />

diventassero regola, sarebbe<br />

la fine di tutta la musica”;<br />

Nietzsche non si entusiasmò. Ma<br />

Brahms li predilesse, avendo vissuto<br />

quel dilemma come una spina<br />

nella carne» (p. 346).<br />

Allo stesso modo, proprio attraverso<br />

questo percorso sotterraneo, Bortolotto<br />

rivolge altrettanta attenzione<br />

a Beckmesser, liberandolo dalle insistite<br />

ristrettezze di certi tratti grotteschi<br />

appartenenti a un consunto<br />

oleografismo, al quale pure sottrae<br />

gli altri Maestri, per ritrovare<br />

più profonde radici di quell’inclinazione comica<br />

che, non va dimenticato, aveva rappresentato l’originario,<br />

benché tutto da decodificare, obiettivo di Wagner; di là dalla<br />

superficie, dunque, è l’humus diversamente fermentante<br />

che opera, quella «gaiezza propriamente ed unicamente tedesca»<br />

colta da Nietzsche, il quale, pur non entusiasta, aveva<br />

compreso il tessuto più segreto entro cui le varie tematiche,<br />

come in un contrappunto arioso eppur necessario, vanno<br />

intersecandosi. Persino il tema, più perigliosamente esposto,<br />

dello spirito patrio: «queste cose – aveva detto il filosofo<br />

– debbono venir intese artisticamente, non dogmaticamente.<br />

Anche il nazionalismo tedesco fa parte di ciò».<br />

Il Wahn, dunque, come chiave per penetrare l’oscuro, nella<br />

sofferta consapevolezza di Sachs (in questo davvero un doppio<br />

di Wagner) che carattere dominante della poesia è la dimensione<br />

onirica. Quella che, infine, troverà nell’estremo cimento<br />

poetico di Walter la forza fecondante dell’amore: non<br />

più il «malvagio spettro della notte», chiarisce Bortolotto a<br />

riscontro di Tristan, «ma illuminazione benigna» (p. 351).<br />

«Illuminazione benigna» e «follia d’amore» sono i termini<br />

per rilevare le differenze tra le due opere contigue: diverse<br />

ma non contrastanti, sembra pensare Bortolotto, il<br />

Il provetto stregone 69

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