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VeneziaMusicaedintorni 48 - RIVISTA COMPLETA - Euterpe Venezia

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72<br />

Mario Bortolotto e le vie della musicologia<br />

L’anima del Lied<br />

di Alberto Caprioli<br />

I<br />

libri di Mario Bortolotto non sono soltanto libri<br />

da leggere, sono anche libri da ascoltare, perché parlano.<br />

Come nel caso del magistrale trattato sul Lied romantico<br />

apparso in due edizioni e in varie ristampe tra<br />

il 1962 e oggi, che il suo autore intitola con falsa modestia Introduzione,<br />

e che, al momento della sua riedizione nel 1984,<br />

giudica, addirittura, «impolverato profilo»: Sternenstaub,<br />

diremmo noi piuttosto, quella polvere di stelle che per gli<br />

astrofisici indica il prodotto di novae e supernovae, che il Nostro<br />

ritrasforma da sostantivi di nuovo in aggettivi.<br />

Essendo musicisti, ci si accorge che sono libri scritti da una<br />

mente in continuo dialogo con il proprio orecchio di musicista;<br />

libri che parlano una lingua che alterna ai continui riferimenti<br />

filosofici, artistici, letterari, finanche antropologici,<br />

una verifica incessante sul campo, sul tavolo talora spoglio,<br />

talora straordinariamente adorno di un’anatomia dei pensieri<br />

e dei sentimenti oltre che delle forme, delle attitudini<br />

superficiali e delle strutture profonde.<br />

Chi fosse abituato a confrontarsi con i saggi della maggior<br />

parte dei musicologi, dopo aver letto le prime due pagine di<br />

Introduzione al Lied romantico, comincerebbe a sfogliare<br />

questo, come tanti altri libri di Bortolotto, ricercandone i<br />

capitoli, i paragrafi, l’indice dei nomi; dimenticando che<br />

un’«introduzione» è appunto come un’ouverture, dove i<br />

temi o i Leitmotive dei personaggi si presentano a raccontarli,<br />

a difenderli, talvolta a rimpiangerli, ancor prima dei personaggi<br />

stessi. Ma in questo caso non si tratta di un’ouverture<br />

o di una sinfonia in stile italiano, bensì di una pièce sinfonica<br />

per grande orchestra, una Symphonische Dichtung generatrice<br />

di idee, così come la potrebbe concepire in musica un<br />

Richard Strauss (una lunga frase poematico-sinfonica accompagnata<br />

da una miriade iridescente e incessante di contrappunti<br />

intellettuali, di fermate reali, che fungono da perno<br />

per digressioni continue, ma segretamente e astutamente<br />

organizzate), dove l’ossimoro<br />

con il camerismo del Lied<br />

è artificio volontario<br />

e rende ragione della<br />

inimmaginabile<br />

portata di quella<br />

che si potrebbe<br />

chiamare una<br />

paginetta di<br />

Schubert, di<br />

Schumann<br />

o di Wolf.<br />

Di questa<br />

apparentemente<br />

infinita<br />

Erlösung<br />

d e l l a<br />

forma rimane<br />

la<br />

lucidità<br />

Novalis.<br />

dei timbri, la riconoscibilità degli accenti, la pregnanza delle<br />

dramatis personae, chiamate in causa nella loro chiara contestualità<br />

da manuale di alta geografia delle idee; la distillata<br />

sapienza della citazione appropriata, che non è mai, neppure<br />

nei casi e nei generi più intricati e sibillini, jeu de mots fine a se<br />

stesso, ma diviene viva carne e sangue pulsante del corpo del<br />

testo e dei suoi tessuti:<br />

con trame e orditi talvolta<br />

paralleli o trasversali<br />

che, se non esistono in<br />

natura, vengono creati<br />

da Bortolotto in preziosi<br />

artifici di autentica ars<br />

retorica: un invito al lettore<br />

a divenire l’interlocutore<br />

e l’artefice di uno<br />

scambio continuo.<br />

Bortolotto, da viennese<br />

(oltre che francese) di<br />

origine, prima ancora<br />

che di adozione, esordisce,<br />

inaspettatamente,<br />

con una disamina degli<br />

aspetti contraddittori di<br />

quello che chiama «il<br />

fondamento proibito»<br />

della storiografia tedesca<br />

del Lied, partendo<br />

dalle origini linguistiche<br />

e musicali del termine,<br />

dalla sua pretesa derivazione<br />

antica, germanica e<br />

popolare, con le conseguenti interpretazioni storiografiche,<br />

che oggi gli storici definirebbero sous surveillance.<br />

E in questa introduzione all’introduzione, che si salda al<br />

resto del trattato con l’accelerando proprio delle Einleitungen<br />

delle sinfonie schumanniane, già compaiono scaglie cristalline<br />

di metalli rari, di quelli che erano ancora da scoprire<br />

al tempo dell’alchimia, nel quale certa musicologia italiana<br />

giaceva allora wie eingeschlummert. Un esempio per tutti<br />

(non credevo ai miei occhi quando ho visto, nell’edizione<br />

del 1962, esattamente le stesse parole dell’edizione 1984: in<br />

quel caso nulla era stato aggiunto): quando nella prima pagina<br />

l’autore parla di Stilkritik, in un contesto che, se all’inizio<br />

degli anni sessanta poteva apparire connesso alle discipline<br />

artistiche e all’archeologia, è oggi invece inderogabilmente<br />

legato al suo côté storico-antropologico, non fa altro che<br />

anticipare di quarant’anni, con una fulminante intuizione,<br />

uno dei temi à la page dell’odierna semiotica, tanto da essere<br />

inserito tra i fili conduttori dell’XI Convegno internazionale<br />

della Deutsche Gesellschaft für Semiotik del 2005, intitolato<br />

per l’appunto Stil als Zeichen. Funktionen – Brüche<br />

– Inszenierungen (Stile come segno. Funzioni – trasgressioni –<br />

messinscene), ove un’intera sezione presenta una ricerca della<br />

cattedra di letteratura comparata e comunicazioni (Lehrstuhl<br />

für Vergleichende Literaturwissenschaft und Medienforschung)<br />

dell’Università europea Viadrina di Francoforte<br />

sull’Oder, intitolata per l’appunto Critica stilistica storica e<br />

antropologia. E la sensazione che si tratti di un presagio, di<br />

un’«illuminazione», si concretizza una trentina di pagine<br />

più avanti (per l’esattezza alla p. 32 dell’edizione Piccola<br />

biblioteca Adelphi, p. 31 della prima edizione nella Piccola<br />

biblioteca Ricordi), dove tra gli autori menzionati, al seguito<br />

di Theodor Wiesengrund Adorno, compare Claude Lévi-<br />

Strauss, sette anni prima che Luciano Berio ne utilizzasse i<br />

testi in Sinfonia (1968-1969). Di Lévi-Strauss, oltre ai Tristes<br />

tropiques del 1955 e all’Anthropologie structurale del ’58, si

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