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Vite contadine - Inea

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198 MONICA CAGGIANO<br />

NON RIMARRà CHE LA CAMPAGNA<br />

199<br />

che circa un anno fa si è trasferita a Matera da Berlino, subito dopo aver<br />

conosciuto Francesco. Judith ha alcuni caratteri tipicamente germanici che le<br />

fanno apprezzare anche gli aspetti più duri della vita spartana e della fatica<br />

della campagna; decisamente pragmatica e con una cultura ambientalista<br />

lontana anni luce dalla media dei cittadini italiani, una delle prime cose che<br />

mi ha detto è stata: «Non capisco, ma perché gli italiani non fanno la raccolta<br />

differenziata e ogni giorno gettano nella spazzatura una ricchezza?» Beh che<br />

rispondergli? Che addirittura in molte occasioni abbiamo pagato la Germania<br />

per acquistare le nostre ricchezze… meglio tacere.<br />

Francesco mi aspetta nei locali del Gruppo d’Acquisto Solidale (GAS),<br />

intento a scaricare le cassette di frutta e verdura. La nostra discussione avviene<br />

a tappe. Inizia sul posto, poi lo accompagno a fare delle commissioni,<br />

ci fermiamo nella piazza di Matera e infine proseguiamo a tavola nella loro<br />

casa di campagna. «Si può dire che ho iniziato a fare il contadino già dalla<br />

pancia di mia madre, sono figlio e nipote di contadini, da entrambi i lati. Sono<br />

cresciuto a contatto con la terra e con gli animali, mio padre mi “ha messo<br />

sotto subito”. Per quanto possibile ho sempre dato una mano in campagna,<br />

dove per tre, quattro mesi all’anno abitavamo in maniera stabile, il resto<br />

dell’anno lo passavamo in città. Mio padre ha vissuto vari passaggi, proveniva<br />

da una cultura agricola antica, ma poi si è ritrovato nel boom dell’agricoltura<br />

chimica, produttivista, che ha distrutto la figura del contadino per<br />

creare quella dell’imprenditore agricolo. Lui si è trovato nel pieno di questo<br />

passaggio, per cui ha pensato bene di dimenticarsi di essere contadino ed è<br />

diventato un piccolo imprenditore agricolo. Ha gestito un’azienda agricola,<br />

più che “mettere le mani nella terra”, di conseguenza il fatto di non vivere<br />

in campagna era normale. Mio padre curava l’organizzazione, mentre lì<br />

c’era un operaio salariato in maniera stabile. Questa separazione fisica tra la<br />

campagna e chi la coltiva, soprattutto nel nostro comprensorio agricolo, era<br />

piuttosto comune. La maggior parte dei contadini non viveva completamente<br />

in campagna ma, a parte i periodi di lavoro più intensi e in estate, in genere<br />

erano soprattutto gli uomini che partivano all’inizio della settimana per la<br />

campagna e tornavano il venerdì in città. Negli anni ‘50, prima dell’esodo, nei<br />

Sassi vivevano 22.000 persone e la maggior parte di questi erano contadini,<br />

ciò dipende anche dalla tipologia di coltura: grano, cereali, olivi, richiedono<br />

soprattutto lavori stagionali.<br />

Ora vivere in campagna è una cosa che mi piace. Sono stato cinque anni<br />

in città, andando in campagna tutti i giorni a lavorare come faceva mio padre<br />

e poi mi sono trasferito nella casa dove prima c’erano gli operai. Vivere in<br />

campagna per me è un’esigenza fisiologica, per soddisfare il mio bisogno di<br />

aria e spazio fisico, ma è anche un’esigenza culturale, legata allo stile di vita e<br />

alle possibilità che può dare oggi la vita in campagna. Possibilità fisiche, reali<br />

e concrete per un modo di vita più sostenibile, come l’opportunità di riciclare<br />

i rifiuti attraverso il compostaggio dell’organico o bruciando le biomasse e<br />

altro materiale combustibile per alimentare il riscaldamento a legno. In campagna<br />

c’è lo spazio e la possibilità di usare il solare e l’eolico in varie forme,<br />

al momento sto facendo qualche piccolo esperimento con il solare termico.<br />

Un’altra facoltà è il recupero dell’acqua attraverso la fitodepurazione, infatti<br />

negli angoli di tempo che mi restano dal lavoro ho iniziato a fare degli scarichi<br />

per la costruzione di un impianto di fitodepurazione, il progetto l’ho già in<br />

mente, ma aspetto una settimana con un po’ di tempo libero. Se all’acqua che<br />

preleviamo dai pozzi, all’acqua piovana che raccogliamo e immagazziniamo,<br />

riusciremo ad aggiungere anche la fitodepurazione, saremo sempre più autonomi<br />

rispetto alle risorse idriche. Se si vuole sposare la cultura dell’ecosostenibilità,<br />

è necessario essere autonomi rispetto all’acqua, all’energia, alla raccolta<br />

dei rifiuti. Dietro alla mia scelta di abitare in campagna, c’è anche una ragione<br />

lavorativa, un tipo di azienda come quella che stiamo strutturando ha delle<br />

necessità ordinarie che richiedono una presenza dalla mattina presto alla sera<br />

tardi, come l’orto, poi c’è sempre bisogno di controllare qualcosa…».<br />

Il rapporto tra Francesco e suo padre è stato conflittuale. Non poteva<br />

essere altrimenti, giacché sono separati da due visioni dell’agricoltura e del<br />

mondo. Suo padre, come tutti quelli della sua generazione, ha abbracciato ciò<br />

che il figlio chiama il “vangelo dell’agricoltura produttivista”, con la chimica<br />

e la monocoltura. Francesco pratica l’agricoltura biologica e sinergica, ma a<br />

è arrivato a poter fare delle scelte autonome e forti, solo dopo aver vinto le<br />

resistenze della sua famiglia, e non solo rispetto alle pratiche colturali: «Mia<br />

madre, figlia di contadini, non amava la campagna e non avrebbe mai voluto<br />

sposare un contadino. Immagino che non avrebbe neppure voluto averne<br />

uno per figlio. Sono stato sempre un ottimo studente, prima di dedicarmi<br />

completamente alla campagna ho frequentato per cinque anni la facoltà di<br />

Ingegneria all’università di Bari, ho sostenuto ventuno esami, per i miei genitori<br />

ero già ingegnere. Poi ho deciso di abbandonare gli studi per ritornare<br />

alla campagna, tra l’altro vivere in città mi procurava anche un malessere<br />

fisico, come le allergie.<br />

Il mio ispiratore, più che mio padre, è stato mio nonno, morto nel ’67,<br />

prima che i miei si sposassero. Io non l’ho mai conosciuto, ma me ne hanno<br />

parlato molto, sia mio padre che i miei zii. In realtà tutta la mia famiglia<br />

parlava molto di lui tranne la nonna, perciò ho sempre avuto questa figura<br />

ideale come riferimento. La terra che sto lavorando è la terra di mio nonno,<br />

la sua storia l’ho scoperta non molto tempo fa. Prima ero convinto che questo<br />

fondo provenisse da un’eredità del mio bisnonno, invece mio nonno e altri tre<br />

fratelli contadini iniziarono lavorando la “terra dei padroni” come mezzadri<br />

o affittuari, con una formula che variava di tempo in tempo. Parliamo del

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