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Vite contadine - Inea

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96 MONICA CAGGIANO<br />

tutto. Soprattutto ho sottovalutato le problematiche incontrate nella gestione<br />

dell’azienda agricola, dove in poco tempo ho bruciato tutti i risparmi del mio<br />

precedente lavoro, i finanziamenti ricevuti per il primo insediamento, parte<br />

delle risorse familiari e il mio lavoro continuativo degli ultimi quattro anni.<br />

Però non sono pentito. Ho solo paura di fallire, di perdere la stima di me<br />

stesso e di non riuscire a pagare i miei debiti, ma non c’è più la paura di<br />

rimanere solo.<br />

La mia svolta è stata anche e soprattutto un ritorno in Salento. Nel mio immaginario,<br />

però, questa terra rappresentava più che altro il “luogo d’infanzia<br />

mentale”, giacché prima di ritornare ho sempre vissuto il territorio in modo<br />

superficiale, come di passaggio, senza avere in realtà uno sguardo consapevole<br />

sul luogo, sulla gente. Si può dire che il Salento lo sto ancora riscoprendo, sia<br />

quello geofisico, sia quello umano e culturale. In questo percorso Angelo è<br />

stato il primo punto di contatto con la cultura locale e con il passato. Angelo<br />

è una di quelle persone con cui parleresti per ore, ironico e sapiente, a più di<br />

ottant’anni non rinuncia alla tazzina di caffè e alle sue nazionali senza filtro,<br />

quelle che crederesti ormai fuori commercio. Si è sempre occupato dell’ortogiardino<br />

della casa al mare, dei suoi micro-terrazzamenti coltivati a fichi<br />

d’india, capperi, pomodori e piante aromatiche, che si arrampicano a picco<br />

sul golfo di Castro, dove poi è sorto il B&B. Angelo è un contadino di nascita<br />

e per anni ha fatto il pescatore, “ma per necessità – dice – perchè il mare,<br />

con le reti da tirare a remi e le burrasche improvvise che ti facevano salire<br />

lo stomaco in gola e pregare la madonna di Castro, è tutta un’altra cosa”.<br />

Preferisce ricordare le nuotate di cinque, sei chilometri di quand’era ragazzo<br />

e giocava con le correnti insieme a un gruppetto di temerari, e da quando si è<br />

ritirato dalla pesca non è mai più sceso al porto».<br />

Giuseppe ha invece ritrovato, con un po’ di ritardo fisiologico, la sua<br />

dimensione sia in mare, con la sua barchina a vela con cui scorrazza nello<br />

Jonio, sia in terra, con il seghetto da rimonda o alla guida del suo trattore<br />

Goldoni rosso fiammante. Tra i due c’è un rapporto affettuoso e rispettoso.<br />

Quando chiedo ad Angelo cosa pensa di Giuseppe contadino, mi risponde<br />

quasi con le lacrime agli occhi: «Io Giuseppe lo stimo». Sono parole rotte<br />

dalla commozione in cui si legge un affetto filiale ricambiato dal giovane<br />

agricoltore: «Quando da piccoli venivamo a mare nella casa di Castro, Angelo<br />

era il signore della collina, quasi uno spirito che appariva e scompariva, ma<br />

notavi sempre le tracce del suo passaggio. Una volta partito per frequentare<br />

l’università, non sono ritornato per anni a Castro e non ci siamo più visti.<br />

Poi un giorno sono tornato per salutarlo, mi intristiva molto l’idea di trovare<br />

un vecchietto piegato in due, che non faceva più niente, invece lo ritrovai<br />

identico a come l’avevo lasciato. Sto parlando di quindici anni fa, Angelo<br />

allora aveva già settant’anni ed era attivissimo. In quell’occasione si mise a<br />

RITORNO IN SALENTO<br />

piangere, all’inizio non mi riconobbe, erano passati diversi anni. Quando ho<br />

maturato l’idea di coltivare in maniera naturale ho cominciato a spremere<br />

da Angelo più cose possibili. È stato una miniera d’informazioni sui metodi<br />

che si praticavano una volta, quando il biologico era d’obbligo. Non tutto ma<br />

qualcosa si può recuperare, come alcune pratiche di lavorazione e conservazione,<br />

indicazioni utilissime che non trovi da nessuna parte.<br />

All’inizio non è stata una comunicazione facile, da parte mia c’era il<br />

bisogno di sapere e da parte sua la difficoltà di trasmettere qualche concetto<br />

pratico di lavoro. Non mi faceva fare niente, era abituato sempre a fare tutto<br />

da solo, a fare tutto prima, anche quando gli dicevo: “Angelo allora domani<br />

piantiamo”, il giorno successivo aveva già piantato tutto; poi standogli dietro<br />

un po’ di cose le ho viste. Certo ogni situazione, ogni contesto ha le sue regole.<br />

A Castro c’è un sistema pazzesco con le micro aiuole. In definitiva, per me<br />

Angelo è stato un riferimento culturale, piuttosto ideale, attraverso cui ho<br />

cercato di riconnettermi alla cultura locale. Lui e altri vecchi contadini con<br />

cui lavoro sono delle testimonianze viventi, ricche di esperienza. In passato la<br />

cultura agricola era parte integrante della cultura economica e sociale, perché<br />

tutti i lavori erano comunitari: la mietitura e la spigolatura, le paranze per la<br />

pesca, la raccolta e la filatura del tabacco. In campagna si lavorava insieme,<br />

creando delle sinergie con un risultato più che proporzionale rispetto alle<br />

singole individualità. Ora, invece, in Salento non c’è la cultura della cooperazione,<br />

né efficienza nella gestione di tutti questi piccoli appezzamenti;<br />

ognuno ha il suo trattore, con un dispendio di risorse pazzesco. Pippi, un<br />

contadino anziano con cui lavoro, si ricorda ancora una storia di trenta anni<br />

fa, il fallimento “strategico” della cooperativa del tabacco, subito dopo aver<br />

incamerato tutto il tabacco di quei poveri soci che non vennero mai pagati. È<br />

chiaro che poi la gente non si fida più, quando sente la parola cooperativa sta<br />

alla larga. Per l’agricoltura dovrebbe realmente funzionare il sistema consortile.<br />

Soprattutto per i tanti piccoli agricoltori che credono nella biodiversità,<br />

nel mantenimento dello stato naturale della campagna, è necessario che ci<br />

sia un progetto comune. Il cibo ha un forte impatto su tanti aspetti della vita<br />

sociale ed economica, è anche un mezzo per maturare una sensibilità più<br />

generale, non solo sull’ecologia, ma anche sull’ambiente politico e relazionale,<br />

sulla stessa convivenza tra le persone.<br />

Nella zona, invece, c’è una generale disattenzione alla naturalezza e alla<br />

qualità del prodotto. Qui ci sono state sempre tante varietà tipiche di ortaggi,<br />

molto saporite, che però stanno scomparendo, sostituite dalle piantine preconfezionate<br />

di vivaio e dai semi ibridi. Questo succede anche perché, per un<br />

verso, le istituzioni non si preoccupano di valorizzare i prodotti locali, dall’altro<br />

il consumatore non ha alcun tipo di sensibilità sull’argomento. Spero che<br />

la biosteria e l’ostello in programma fungano da volano in tal senso. Riguardo<br />

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