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Vite contadine - Inea

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10 MONICA CAGGIANO GLI ARTISTI STANNO QUA<br />

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dell’azienda è quello di accorciare sempre più la filiera, accrescendo i canali<br />

di vendita diretta. La nostra vendita è molto legata al circuito biodinamico,<br />

che si va sempre più allargando: riforniamo piccoli negozi, gruppi d’acquisto<br />

o lavoriamo su prevendita diretta. Assieme a un amico di Roma, ho messo<br />

in piedi un sito Internet per la vendita on line, che non è un magazzino virtuale,<br />

ma una vetrina in cui ci sono direttamente le aziende. Basta collegarsi<br />

e fare l’ordine che arriva direttamente a casa, abbiamo creato una serie di<br />

combinazioni per minimizzare i costi di spedizione. Per garantire un’offerta<br />

differenziata abbiamo più di 700 referenze, ossia tipi di prodotti diversi.<br />

Quando è nata quest’idea avevamo aperto anche un negozio a Roma, ma poi<br />

siamo ricaduti nelle problematiche della filiera lunga, perché avere un negozio<br />

significava pagare un fitto, con dei costi di gestione e via dicendo, quindi il<br />

mio pomodoro aveva al dettaglio un costo quasi triplicato e il nostro obiettivo<br />

non era quello. Alla fine il negozio è stato regalato. La percentuale di ricarico<br />

che facciamo per la vendita on line è invece del sei, otto per cento e serve a gestire<br />

il sito. Così riusciamo sempre a stare sotto i prezzi del supermercato del<br />

trenta, quaranta per cento, con il vantaggio di avere dei prodotti artigianali<br />

controllati e garantiti. La cosa ha avuto tanto successo che stiamo provando<br />

a organizzare meglio la produzione, coinvolgendo altre aziende. Certo, con<br />

la biodinamica questa cosa non ha funzionato, quando noi vendevamo l’uva<br />

a un prezzo triplicato e stava pure per scoppiare il problema del bioetanolo,<br />

molte aziende ci contattavano per entrare nel nostro mercato; per noi non<br />

c’era problema visto che la domanda era molto alta, c’era spazio per tutti, ma<br />

quando gli spiegavi cosa dovevano fare il commento era: “ma voi che fate gli<br />

stregoni?” oppure “ma siete testimoni di Geova?”. Non erano abituati, non<br />

si può dire neppure che erano concetti nuovi perché c’erano molte pratiche<br />

tradizionali, ma allora c’era il mito della chimica. Per la biodinamica ora c’è<br />

tanto interesse, ma ho timore di coloro che si avvicinano solo per una strategia<br />

di marketing, svuotandone tutta la filosofia, così resta solo l’involucro. Noi ci<br />

troviamo bene con i tedeschi che hanno una cultura più lunga e profonda su<br />

queste tematiche, in trent’anni non abbiamo mai avuto problemi, sono molto<br />

corretti. Ricordo che quando venivano giù a vedere le produzioni erano loro<br />

a proporci degli aumenti di circa il tre per cento all’anno. Venendo anche<br />

loro da una tradizione contadina riconoscevano il frutto del nostro lavoro, poi<br />

hanno un rapporto diverso con il denaro, non è gente che cerca di fregarti.<br />

Questo rapporto ci ha aperto anche molti contatti, ad esempio una volta è venuta<br />

da noi una signora tedesca che aveva tre lauree e parlava non so quante<br />

lingue, è stata tre mesi da noi a lavorare».<br />

Francesco fa parte del “Centro di Documentazione delle Case di Terra”<br />

(CED), l’area conserva i tipici insediamenti di edilizia rurale in argilla battuta<br />

o in mattoni di argilla cruda, formati da un impasto di terra argillosa e paglia:<br />

«Ricordo che negli anni ’80 ci fu una mostra organizzata a Chieti sulle case di<br />

terra in Abruzzo, la cosa divertente è che una delle immagini della mostra era<br />

la casa di mia nonna. Lì vicino da piccolo giocavo sempre a pallone, ma non<br />

mi ero mai chiesto che cosa volesse dire una casa di terra. Quell’immagine è<br />

diventata un po’ il simbolo del lavoro del Centro di ricerca, è stata usata anche<br />

nel manifesto della prima “Festa della Terra”. In qualche modo le case di terra<br />

facevano parte del nostro quotidiano, ma nessuno ci aveva mai riflettuto.<br />

Quest’interesse per me è stato successivo, quando nell’ambito del CED abbiamo<br />

iniziato a ragionare sul rapporto tra il tipo d’insediamento e la campagna<br />

e, quindi, sul significato delle case di terra nel territorio agrario. Terra può<br />

significare varie cose, anche una casa, e ci sono dei rapporti, delle connessioni<br />

tra tutte queste cose. La relazione tra il paesaggio, l’abitare e il coltivare è<br />

molto forte e può essere più o meno coerente con la morfologia del territorio.<br />

La nostra campagna è molto costruita, purtroppo di brutte case che l’hanno<br />

completamente snaturata». Come mi spiega Ferdinando: «Le case di terra<br />

sono una costante che si ritrova in tutte le civiltà. Un terzo della popolazione<br />

mondiale vive ancora oggi in case di terra cruda, un materiale alla portata<br />

di tutti, offerto da madre natura e a cui ritorna, senza costi ambientali, una<br />

volta esaurito il suo ciclo vitale. La semplicità della lavorazione consentiva<br />

agli stessi contadini che l’abitavano di autocostruirsi la casa di terra con l’aiuto<br />

dell’intera comunità, la cui realizzazione diventava un importante evento<br />

sociale. Oggi le case di terra rappresentano la memoria dell’identità del luogo,<br />

ma hanno anche una funzione attuale per le loro proprietà bioclimatiche e di<br />

bioedilizia e per ricostruire dei legami con l’ambiente in cui si vive».<br />

Francesco in qualità di architetto si occupa di diversi progetti per il recupero<br />

delle case di terra: «Molti le hanno abbattute anche senza una vera<br />

necessità, perché sono quasi considerate un simbolo del male, sinonimo<br />

di povertà e di emarginazione sociale. È un patrimonio che si perde, ma è<br />

una complicata battaglia contro il tempo, una volta abbandonate hanno un<br />

deperimento molto veloce. Quando, circa dieci anni fa, gli amministratori<br />

hanno iniziato a fare un’attività di censimento per il loro recupero, ci fu un<br />

movimento contrario molto forte della popolazione. In passato la gente non<br />

aveva da mangiare ed era costretta a vivere nelle case di terra. Anche i progettisti<br />

spesso si trovano di fronte a un materiale sconosciuto che non sanno come<br />

trattare, per cui la cosa più facile è togliere la casa di terra di mezzo e fare<br />

quattro pilastri in cemento armato». L’attività fatta in questi anni dal CED<br />

non è riuscita a incidere molto sul locale, la gente del posto partecipa poco agli<br />

incontri, non viene a sentire il professore universitario, forse sulla comunità<br />

incide di più l’attività di Ferdinando che parla con gli agricoltori, si fa dare<br />

i loro semi e mette in relazione persone e cose, creando un interesse anche<br />

per le case di terra. Probabilmente un’attenzione maggiore si avrà grazie alla

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