Vite contadine - Inea
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180 FRANCESCA GIARÈ<br />
SONO DIVENTATO SOCIO PER CASO<br />
181<br />
hanno trascinato un paio di volte e non stavo bene.<br />
Il legame tra l’impegno politico e quello sociale ha attraversato la storia<br />
di questa cooperativa fin dalla sua nascita. Allora il direttore di “Capodarco”,<br />
Matteo Amati, era iscritto nella sezione del PCI di Tor Carbone, motivo per<br />
il quale la comunità è stata coinvolta nel progetto. L’obiettivo della comunità<br />
era inserire portatori di handicap nel mondo lavorativo, quello della sezione<br />
di Tor Carbone era di occupare i braccianti agricoli dell’azienda dei Torlonia;<br />
la sezione di Porta Medaglia era il centro del movimento agricolo e della<br />
cooperativa. Porta Medaglia è un quartiere agricolo di Roma, con due riferimenti<br />
importanti, “Castel di Leva” e “Falconiana”; allora era pieno di ragazzi<br />
a cui bisognava dare una risposta. Messi insieme questi obiettivi è partita la<br />
cooperativa».<br />
L’intreccio tra storia personale e storia collettiva continua nel racconto<br />
di Mario: «Le cose non vengono mai per caso. Delle volte capitano delle<br />
cose che già abbiamo immaginato. Io non ho mai forzato la mia vita. Tutti i<br />
cambiamenti che ho avuto, li ho avuti sempre perché mi si sono presentati.<br />
Io sono ragioniere, ho studiato in una scuola privata. Mio padre diceva che la<br />
scuola era la rovina dei ragazzi. Quando riaprivano le scuole io vedevo questi<br />
ragazzi che andavano, erano gli anni ’60, e a me è mancato qualcosa. Dopo<br />
due anni che avevo lasciato la scuola mi sono reso conto che mi mancava un<br />
po’ di cultura, cioè riuscire a parlare o comprendere quello che si diceva e<br />
questo mi dava fastidio. Avevo sedici anni quando ho voluto riprendere la<br />
scuola, però lavoravo e così sono andato alla scuola privata. Ho fatto ragioneria<br />
in tre anni. Andavo ai mercati generali la mattina presto, poi andavo<br />
a scuola, all’una mangiavo e andavo nell’orto e lavoravo fino alle dieci di<br />
sera. L’ho fatto per tre anni. Quando mio padre ha visto che da tre mesi non<br />
portavo i soldi, perché la scuola costava, mi ha cacciato di casa e sono stato<br />
quattro mesi fuori. A scuola pagavo una retta di nascosto dagli altri, perché il<br />
vicepreside mi aveva fatto un taglio di quasi l’80% per farmi andare. Vedeva<br />
i risultati e per farmi andare ha fatto così. Poi ho trovato un compromesso<br />
con papà e mamma e ho preso il diploma. Qualche cosa l’ho imparata, ma<br />
non ho mai cercato lavoro da ragioniere. C’era l’accordo con i professori: ad<br />
esempio, non venivo mai interrogato per primo. Loro mi facevano sentire le<br />
altre interrogazioni, non facevo mai un’assenza, facevo qualche compito a<br />
casa, ma non avevo tanto tempo. Quando ho fatto la maturità mi sono sentito<br />
l’esame in due scuole, perché alla scuola privata la commissione era quella<br />
statale. Quando sono arrivato, mi hanno detto “finalmente abbiamo trovato<br />
il nome a questo ragazzo che girava per le scuole”. Sono diventato ragioniere<br />
anche con un buon punteggio, ma che non mi serviva lo sapevo già.<br />
Ho fatto il militare da sposato e poi sono venuto qui un anno dopo il<br />
militare. Nella famiglia nessuno era d’accordo con questa scelta, nessuno era<br />
d’accordo che i ragazzi venissero qua perché era una scommessa al buio. Con<br />
il senno del poi mi hanno detto “meno male che hai fatto questa scelta”. A un<br />
certo punto anche mia moglie ha cominciato a lavorare come bracciante agricola,<br />
nell’azienda dove lavoravo io, per tenere il posto, perché non sapevamo<br />
che fine avremmo fatto. Abitavamo dentro un’altra azienda. Due giorni dopo<br />
che avevo occupato, siccome i padroni erano coalizzati tra loro e pensavano<br />
che i comunisti avevano occupato le terre, il mio padrone mi ha detto “tu non<br />
lavori più qua, la casa mi serve”. Mia moglie lavorava in un’altra azienda.<br />
Prima di formare la cooperativa, per unirmi con mia moglie avevo accettato<br />
di fare il guardiano in un’altra azienda, ma questo padrone voleva che facessi<br />
il trattorista. Per farlo mi alzavo presto, facevo il trattorista dove abitavo e<br />
poi andavo nell’altra azienda a lavorare, quella in cui lavoravo da piccolo. A<br />
diciotto anni ero già il direttore dei lavori, perché mi conoscevano da piccolo.<br />
Me ne sono andato perché non mi hanno dato la casa. Poi ho occupato.<br />
Il problema della casa si è risolto aggiustando tutti insieme, tutti i<br />
compagni della sezione, la casa del vaccaio, questa sopra al ristorante. Ci<br />
sto ancora adesso… con quello che costano gli affitti. Mia moglie era una<br />
ragazzina, aveva sedici anni, ci siamo sposati che lei ne aveva quattordici e io<br />
diciassette, è una storia lunga, non eravamo scappati, ma i genitori avevano<br />
fatto un casino e ci siamo dovuti sposare al comune. Lei era gelosa, con tutte<br />
le persone che giravano qui, giovincelle ecc. venivano da tutta Europa. Era<br />
l’unica famiglia che andava allo sbando, se la cosa non funzionava, perché era<br />
l’unica famiglia. Eravamo due braccianti e ci siamo rimboccati le maniche.<br />
Oggi diciamo meno male perché le aziende agricole in cui lavoravamo sono<br />
fallite, hanno perso posti di lavoro, invece per noi la situazione si è sistemata.<br />
Abbiamo messo su famiglia, abbiamo cresciuto i figlioli. Ci siamo trovati da<br />
un ambiente a uno nuovo, non ho mai fatto politica. Prima ero stato adottato<br />
da due braccianti, ma qui sono stato adottato dai militanti del PCI, dalla base,<br />
perché le poltrone…».<br />
Maria, la moglie di Franco, è una donna minuta. Quando si avvicina,<br />
Franco le spiega che sono lì per l’intervista. Maria saluta e torna al lavoro. È<br />
impegnata in cucina; il ristorante a pranzo funziona come mensa per i soci e<br />
per chi si trova in quel momento in azienda e vuole condividere il pasto insieme<br />
agli altri. «Ci hanno portato tutto – continua Franco – non ci hanno fatto<br />
mancare mai niente, panni, vestiti, mangiare. Nei primi tempi siamo stati<br />
nella bambagia, dovevamo solo pensare a lavorare. Anche gli imprenditori, ci<br />
hanno prestato i trattori; quelli di Maccarese, ad esempio, ci hanno venduto<br />
le prime cose a prezzi adeguati, ci hanno aggiustato il motore di un trattore<br />
in mezzo ai campi, di notte. Nelle sezioni c’erano gli uomini più vicini alla<br />
base, sindacalisti, politici, c’è gente che si è venduta la carriera politica, perché<br />
a Roma, anche nelle giunte di centrosinistra, c’era sempre un palazzinaro. Ma