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Vite contadine - Inea

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218 FRANCESCA GIARÈ<br />

VOGLIO FARE UNA COSA FATTA BENE<br />

219<br />

A un certo punto ho pensato che l’azienda poteva essere un’occasione per<br />

i ragazzi che incontravo nelle attività di volontariato. Facevo volontariato<br />

da diversi anni con ragazzi con handicap e vedevo che facevamo attività con<br />

loro nel tempo libero ma poi li lasciavamo nel centro diurno per il resto della<br />

settimana. Mi sono detto che potevano anche lavorare e allora facemmo un<br />

esperimento nel 2004. Per fare questo dovevo trovare un’attività che non fosse<br />

pericolosa, perché all’epoca qui non c’erano ancora le strutture adeguate. Non<br />

andavano bene i mezzi meccanici e nemmeno gli animali gestiti con la meccanizzazione.<br />

Così è nata l’idea delle orticole, che vanno subito in produzione,<br />

e io ne avevo bisogno per portare subito la fattoria sociale a produrre reddito.<br />

L’idea è che a un certo punto tutto il settore orto diventi sociale, cioè gestito<br />

dai ragazzi. Ora alcuni lavorano anche con gli animali, qualcuno ha fatto la<br />

raccolta del pomodoro con le macchine, perché hanno imparato a muoversi<br />

bene. Superata la soglia della produzione, superata la soglia dell’inserimento<br />

lavorativo protetto, la persona che ha partecipato al percorso fa un colloquio<br />

di lavoro come tutti gli altri e comincia a lavorare sul serio. Oggi produciamo<br />

circa 100 ettari a ortaggi, facciamo due cicli.<br />

Finora tutto quello che abbiamo progettato nel 2004 è stato fatto nei tempi.<br />

A pieno regime, se il programma viene rispettato, dovremmo riuscire a occupare<br />

circa 300 persone con la fattoria sociale. Tieni conto che con l’azienda<br />

non sociale, invece, occupiamo circa 150 persone.<br />

È tutta una questione di essere programmati, di essere molto seri, di essere<br />

severi in quello che uno si propone, in tutti i passaggi. Non è un’attività<br />

bohemien, è un’attività imprenditoriale. Ritenevo infatti fondamentale che<br />

il progetto fosse autosostenibile, per questo ho pensato che il prodotto realizzato<br />

dai ragazzi poteva essere distribuito con un marchio sociale – quello<br />

della Fattoria solidale del Circeo - in modo da non dovermi trovare un giorno<br />

nella condizione in cui avrei dovuto dire ai genitori che dato che il finanziamento<br />

della regione, della provincia o della Asl è finito i ragazzi dovevano<br />

tornare tutti a casa. Quindi all’inizio abbiamo fatto una fase sperimentale,<br />

anche commerciale, per vedere se c’era un riscontro del pubblico per quello<br />

che riguardava appunto il prodotto etico. Pensavo che se dobbiamo fare un<br />

prodotto etico deve essere di qualità non inferiore ma superiore a quello<br />

normale, quello dei nostri competitor, e a un prezzo che sia in linea con quello<br />

di mercato. Se decidi di sostenere con la tua spesa una certa iniziativa, devi<br />

poterlo fare tutti i giorni. Non ti devi impoverire. Se un prodotto costa un<br />

euro lo devi pagare un euro e lo devi poter comprare tutti i giorni.<br />

C’è una bella differenza tra coltivare una melanzana solo per fare profitto<br />

e rendere una coltivazione qualcosa che incide positivamente su una persona<br />

che fa un cambiamento sociale e psicologico... non c’è paragone. È come suonare<br />

uno strumento da solo in una camera insonorizzata o fare un concerto<br />

in pubblico. È un’altra cosa.»<br />

Marco è spesso interrotto dai suoi collaboratori che gli chiedono come<br />

muoversi per risolvere questo o quel problema. Risponde sempre in modo<br />

veloce e sicuro, tornando rapidamente a noi. Sembra quasi che abbia due anime<br />

diverse, quella dell’efficiente e produttivo imprenditore agricolo e quella<br />

del sognatore che fa agricoltura sociale. Gli chiedo come è nata l’idea, come<br />

ha progettato questo cambiamento e lui risponde: «Non c’è un libro dove ho<br />

potuto leggere quello che dovevo fare. L’ho dovuto immaginare. Questa mia<br />

immaginazione è stata supportata dalla fase esperienziale che in piccolo mi<br />

ha fatto vedere quello che poteva succedere. Poi c’è anche la mia esperienza in<br />

campo agricolo e quella con il volontariato. Il completamento del programma<br />

prevede un villaggio famiglia con singoli nuclei abitativi, aperti al suo interno<br />

e verso l’esterno, con la produzione e la commercializzazione collegate. Per<br />

fare questo è prevista la ristrutturazione di alcuni edifici. Se tutto va bene<br />

tra un anno il progetto sarà realizzato, ma tutto dipende dai soldi. Finora la<br />

Fattoria sociale va avanti perché l’Impresa Di Stefano ci mette i soldi e quindi<br />

tutto procede in base alla mia capacità di spesa. Tutto quello che esiste oggi<br />

è stato solo un investimento. Ora siamo anche sul mercato con la grande<br />

distribuzione. La nostra insalata in busta con il marchio della fattoria sociale<br />

è da ottobre in alcuni supermercati e speriamo di arrivare a 700 punti vendita<br />

per stare bene, oppure meno punti vendita ma con quantità maggiore di<br />

prodotto. Questo è il primo vero reddito dalla fattoria e il successo che sta<br />

avendo il prodotto è la prova che siamo sulla buona strada.<br />

L’incontro con Unilever ha fatto sì che l’azienda ci sostenesse facendoci<br />

stipulare un contratto con Findus per delle forniture di verdure destinate ai<br />

surgelati, oltre ad averci donato un furgone per la cooperativa. Ed è cominciato<br />

un po’ per caso: a una cena ho conosciuto una persona che lavora con la Unilever<br />

alla quale ho parlato della fattoria e dell’idea dell’insalata in busta con il<br />

marchio solidale. Le è piaciuto e mi ha presentato la responsabile marketing<br />

della Unilever che ha deciso di sostenere la nostra iniziativa. Avevo scritto a<br />

tantissime società, per chiedere un sostegno ma nessuna aveva risposto.<br />

Abbiamo anche dei sostegni esterni; ad esempio, da quest’anno la<br />

provincia di Latina ha deciso di sostenere i costi del corso di formazione,<br />

almeno quello dei docenti. Stiamo anche consolidando le nostre relazioni con<br />

il territorio, con la Asl»<br />

Chiedo ancora di parlare dell’azienda familiare, del rapporto con chi ha<br />

prima gestito le attività. Mi dice che non ci sono mai stati conflitti, che le<br />

novità introdotte sono state viste in modo positivo, anche perché sono sempre<br />

state pensate con cura. «Ora mi occupo di tutto io, perché mio padre è grande<br />

e non lavora più nell’azienda di famiglia. In pratica ci sono cinque ditte, tre<br />

che fanno solo agricoltura, compresa la parte commerciale, e due cooperative

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