Vite contadine - Inea
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78 MONICA CAGGIANO<br />
un’organizzazione complessa, devono arrivare al mercato conservando il<br />
sapore e il colore, c’è bisogno delle attrezzature, come le celle frigorifere. Poi<br />
non ho mai pensato né di fare altro né di ritornare in Marocco. E poi ritornare<br />
in Marocco per fare che? Nella mia regione non c’è acqua per coltivare, poi<br />
sono vent’anni che vivo in Italia. Lì non saprei da dove cominciare, dove<br />
comperare le piante, dove vendere il raccolto. I mercati marocchini non sono<br />
come quelli italiani, hanno altre regole, bisogna conoscerle, i prezzi non sono<br />
uguali per tutti come in Italia. Non sono più abituato. I miei bambini sono<br />
nati qua, vanno a scuola qua, dovrebbero ricominciare daccapo. In famiglia<br />
parliamo arabo, anche loro parlano arabo, ma non sanno scriverlo».<br />
Mohamed ha cinque figli: Said, Wafa, Dunia, Ibtizian e Sara, l’ultima<br />
arrivata, che non ha ancora un anno. «Ho un maschio e quattro femmine.<br />
Non so se i miei figli continueranno questo lavoro, sono ancora piccoli. Il<br />
più grande ha 16 anni, studia agraria, quest’anno ha lavorato con me quasi<br />
due mesi per comperarsi lo scooter. La prima femmina ha 14 anni e studia<br />
informatica, gli altri sono più piccoli. Loro si considerano italiani, sono nati<br />
qua, hanno la cittadinanza».<br />
I figli parlano un italiano perfetto, con un forte accento veronese, che<br />
stride con la parlata dei genitori e con l’arredo tipicamente marocchino della<br />
loro casa. Entrando nell’abitazione, che si trova sulla strada statale in prossimità<br />
dell’azienda, sembra di fare un salto nello spazio: tappeti, divani, cuscini<br />
damascati e soprammobili ricreano l’ambiente magrebino. «Questi divani li<br />
ho fatti portare dal Marocco, quelli dell’altra stanza li ho presi in Italia in un<br />
negozio che vende arredamento arabo. Prima portavo tutto dal Marocco, ora<br />
qui si trova quasi tutto. La comunità marocchina è quella più numerosa nella<br />
zona, pian piano si è organizzata, puoi trovare prodotti arabi e pregare in una<br />
moschea vicino casa».<br />
Quando chiedo a Mohamed se è stato difficile integrarsi nella cultura<br />
italiana, mi risponde perplesso: «Difficile? Che vuol dire integrarsi?». Allora<br />
mi spiego meglio e, quindi, ribatte: «No, non è difficile, se hai voglia di lavorare<br />
qua le strade sono tutte aperte. Quando non ti conoscono magari hanno<br />
paura, ma poi non c’è nessun problema. Io ho molti amici in tutta Italia, per<br />
14 anni ho girato tutta l’Italia, conosco i camionisti, i facchini, gli autogrill.<br />
Ora invece faccio casa e campagna, campagna e casa. Quando c’è la raccolta<br />
non ho neppure il tempo di andare al supermercato, ci vado con gli stivali<br />
da lavoro. Come i miei figli, anche io sono diventato cittadino italiano. Non<br />
è stato difficile avere la cittadinanza, sono stato sempre pulito. Non è che la<br />
gente ha voglia di rubare, ma se non lavoro cosa mangio? Vado a rubare, ma<br />
non è giusto. Le autorità italiane sanno che gli extracomunitari che lavorano<br />
qui non hanno documenti».<br />
Mohamed ha già assunto la prospettiva dell’imprenditore e quando gli<br />
NOI SENZA DOCUMENTI<br />
chiedo se è difficile per un extracomunitario trovare lavoro in Italia, senza<br />
documenti e senza essere sfruttato mi risponde: «È difficile anche trovare la<br />
persona giusta se hai bisogno di un operaio. Quando assumi qualcuno non sai<br />
se sarà un buon lavoratore. Se prendi qualcuno che è abituato a lavorare in<br />
campagna non ci sono problemi, ma se prendi uno che ha sempre studiato,<br />
dopo due, tre giorni iniziano i problemi. Non resiste molto in campagna,<br />
come fa a lavorare ad agosto sotto le serre, ad alzarsi alle cinque di mattina?<br />
È difficile, bisogna avere voglia di lavorare, i piccoli frutti hanno bisogno di<br />
gente che vuole lavorare».<br />
Domando a Mohamed se conosce altri extracomunitari che lavorano come<br />
imprenditori in agricoltura: «Non conosco altri contadini extracomunitari<br />
che gestiscono un’azienda agricola, solo braccianti e operai. Tutti i miei operai<br />
sono extracomunitari: rumeni, moldavi e marocchini. Durante la raccolta<br />
arrivo anche a venti dipendenti. Poi tutto l’anno ho tre, quattro operai che mi<br />
aiutano a mantenere le serre e a preparare il terreno. Da aprile, maggio fino<br />
a metà agosto e, poi, da settembre anche fino a dicembre, ci sono nella zona<br />
molti extracomunitari che vengono giusto il periodo della raccolta.<br />
Da quando i rumeni sono entrati nell’Unione europea è tutto più semplice.<br />
Prima bisognava fare una domanda, ma i tempi non coincidevano: facevo la<br />
domanda per avere gli operai a lavorare il primo giugno e arrivavano a fine<br />
giugno, metà luglio, quando già è passata la raccolta. Ora i rumeni girano<br />
con la bici, ne contatti uno e arrivano in trenta. Poi se chiami i lavoratori<br />
extracomunitari devi organizzare tutto, cercare un alloggio. Ora i rumeni si<br />
arrangiano da soli, vanno all’INPS, ecc.. Metto tutti in regola, perché ho paura<br />
di essere beccato e mi fanno chiudere tutto, poi ho sentito che da quest’anno<br />
c’è anche la galera».<br />
Gli domando se il lavoro del contadino ha qualcosa di diverso dagli altri,<br />
ad esempio da quello del trasportatore. «È diverso, quando facevo il trasportare<br />
lavoravo come dipendente e dormivo tranquillo come un insegnante.<br />
Ti senti bene, hai tutte le comodità: telefono, TV, frigo. Se ti stanchi ti fermi<br />
all’autogrill a prendere il caffè. Mangi fuori. Quando sei dipendente è diverso.<br />
Quando non si lavora esci con la tua famiglia, prendi le ferie quando vuoi.<br />
Prima pensavo: quando faccio il contadino vado dai miei genitori in Marocco<br />
almeno tre mesi l’anno, ma non è così. Adesso, di giorno lavorare e di notte<br />
pensare! Penso al lavoro per l’indomani, a cosa coltivare, a come concimare.<br />
Quando sono un po’ più libero dal lavoro in campagna, in inverno, i miei figli<br />
vanno a scuola e quindi vado un poco in Marocco».<br />
Basta guardarsi intorno per capire che quest’area ha ben poco a che fare<br />
con il Marocco, ma Mohamed su questo è molto chiaro, la sua scelta è stata<br />
dettata unicamente da esigenze produttive. «Come mai ho scelto la provincia<br />
di Verona per vivere e lavorare? Da Trento fino a qua c’è un guadagno di<br />
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