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Vite contadine - Inea

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60 MONICA CAGGIANO<br />

per interessi e visioni comuni. Eravamo concordi sul fatto che il vino dovesse<br />

rimanere tale e non essere “globalizzato”, ossia a tutti i costi addomesticato<br />

perché piacesse sempre e comunque, perché i mercati o i palati potessero<br />

essere facilitati con cambiamenti di gusto o di colore. Bartolo si è battuto per<br />

il mantenimento dell’originalità del vino, in questo ha inciso parecchio anche<br />

mio padre, che è stato sindaco di Barolo dal ’70 al ’75, fondatore e presidente<br />

dell’enoteca regionale per diversi anni».<br />

Beppe, come Bartolo Mascarello, è considerato un testimone di quella<br />

coscienza critica del Barolo che resiste ai condizionamenti estranei alla tradizione<br />

locale, come l’uso delle barriques o la crescente abitudine di vinificare e<br />

imbottigliare alla francese, per singolo vigneto. L’armonia dei vini di Beppe<br />

è, infatti, il risultato dell’assemblaggio di uve provenienti dai suoi diversi<br />

vigneti, che tra l’altro portano dei nomi ben noti agli estimatori italiani e stranieri:<br />

Cannubi San Lorenzo, Ravera, Brunate, Le Coste. «Abbiamo avuto un<br />

periodo di polemiche, di dialettica su come invecchiare questo vino. Ci sono<br />

stati alcuni produttori, non tanto numerosi, che si sono opposti a questo tipo di<br />

strumento, la piccola botte tostata, una tradizione non nostra, che ha costituito<br />

oggetto di forti diatribe che sono state utilizzate anche per fare immagine. In<br />

questo senso c’è stato un risvolto positivo perché sono servite a promuovere<br />

il Barolo. Un’altra ripercussione positiva è che si sono rinnovate le botti nelle<br />

cantine, magari botti troppo vecchie. Resta il fatto che l’eccesso di legno nelle<br />

cantine lo considero uno stravolgimento, penso che non sia il caso di farlo. Il<br />

disciplinare dice che un vino per esser Barolo deve essere invecchiato almeno<br />

tre anni, di cui almeno due in legno di castagno o di rovere, ma non specifica<br />

il tipo di recipiente e il trattamento che deve essere fatto a questo legno. Il<br />

problema dei vini eccessivamente legnosi, se si vuole chiamarlo problema,<br />

è legato ai trattamenti riservati al legno, ossia alle tostature. Per l’uso delle<br />

barriques si sono assaggiati dei vini molto distanti dall’originalità e peculiarità<br />

del territorio, ci si è allontanati dalle caratteristiche più singolari del Barolo.<br />

Adesso mi sembra che ci sia un ritorno all’uso dei recipienti tradizionali. La<br />

tradizione in questa zona non è di botti eccessivamente grandi, perché qui<br />

non sono mai esistite cantine tanto spaziose da poter avere recipienti così<br />

capienti. La media era di recipienti da 25, 30 quintali.<br />

«Una volta per fare le botti si utilizzava soprattutto legno locale, quando<br />

esistevano i boschi di rovere o anche di castagno, non proprio qui, ma nelle<br />

vallate del cuneese. Ora non c’è più legno locale per fare le botti, perché poi è<br />

arrivata l’acacia che è infestante e ha sostituito tutte le altre essenze. Certo, ha<br />

fatto scaldare la gente, trattandosi di un legno che cresce molto rapidamente<br />

e può essere utilizzato per il fuoco. Attualmente la maggior parte delle botti è<br />

fabbricata in Italia, alcune anche nella zona, ma con il rovere che viene dalla<br />

Croazia.<br />

CHI PIANTA LA VITE NON SCAPPA PIù<br />

Ora si imbottiglia tutto, ma prima la maggior parte del vino si vendeva<br />

sfuso, come faceva mio nonno. Andando indietro nel tempo, la bottiglia era<br />

una cosa abbastanza costosa e disagevole, non si usava molto. Una volta le<br />

bottiglie servivano a invecchiare il vino, non a venderlo, perché ogni bottiglia<br />

aveva una capacità diversa. Erano soffiate, non c’era la bottiglia stampata.<br />

Quelle lì sono di fine Settecento. Ognuna ha una capacità diversa, il soffiatore<br />

non poteva determinarla. Già allora si era capito che il vino migliorava invecchiando.<br />

Alcuni verso la metà dell’Ottocento hanno cominciato a mettere<br />

delle etichette sulle bottiglie soffiate. La mia famiglia ha avuto l’intuizione<br />

dell’etichetta un po’ più tardi, verso il 1870». Beppe mi mostra le antiche<br />

bottiglie di diversa dimensione e le annate più vecchie delle produzioni<br />

Rinaldi. Si trovano accanto a quelle di altri vignaioli più o meno noti, bottiglie<br />

impolverate che creano un’atmosfera antica sugli scaffali in legno della<br />

cantina, impreziosita dall’odore di quei salumi e formaggi che costituiscono<br />

la gloria delle Langhe. Intanto Beppe, giocando con il suo sigaro Toscano tra<br />

le mani, continua a raccontarmi: «Ho fatto la scuola enologica ad Alba, la<br />

stessa che hanno fatto mio padre e mio nonno materno. Questa scuola, nata<br />

a fine Ottocento, è stata essenziale per la viticoltura della zona e lo è ancora.<br />

Una delle prime d’Italia. Ha realizzato una vera e propria rivoluzione che ha<br />

predisposto a un grande miglioramento della viticoltura e dei vini. Tanti figli<br />

destinati a continuare l’attività di famiglia sono stati mandati alla scuola enologica.<br />

In questo campo la qualità dell’istruzione è abbastanza elevata nella<br />

zona. Io sono nato in questa casa e ho avuto lasciti anche dal punto di vista dei<br />

saperi, magari conoscenze empiriche, ma considero l’empirismo una cosa da<br />

non perdere, importantissima. Poi per fare del buon vino ci vuole ovviamente<br />

una buona materia prima. La vendemmia è un brevissimo periodo, magari<br />

conclusivo, quello che crea più ansia, più aspettative, ma è un brevissimo momento<br />

che segue tutta una sequela di lavori necessari nel vigneto che vengono<br />

compiuti durante l’arco dell’anno.<br />

Io ho sempre avuto uno, due dipendenti fissi e degli stagionali, soprattutto<br />

donne. Qui c’è sempre stata una divisione dei lavori nella vigna, alcune lavorazioni<br />

sono sempre state fatte dalle donne, come ad esempio la legatura, la<br />

scacchiatura, che è la prima potatura verde. Quella secca, invernale, invece<br />

l’hanno sempre fatta gli uomini, come i trasporti. Forse perché la donna è<br />

più paziente e quindi fa lavori più di precisione. La raccolta invece è fatta<br />

indifferentemente. Possibilmente impiego manodopera attenta, accorta e<br />

specializzata, un termine questo che non mi piace, in sostanza che fa bene i<br />

lavori. È sempre più difficile trovare manodopera disponibile, molti di coloro<br />

che lavorano nella vigna sono stranieri, vengono dall’Est europeo o anche<br />

extracomunitari. Vivono qui tutto l’anno, si tratta di salariati, lavoratori<br />

giornalieri, mentre non conosco nessuno straniero che ha un vigneto proprio.<br />

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