Vite contadine - Inea
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112 MONICA CAGGIANO<br />
O MUNN’ S’È CAGNATO TUTTO QUANTO!<br />
113<br />
per questo armoniosa, che immediata si perde, operosa, nell’azione, senza<br />
pensiero, senza riflessione e, soprattutto, senza futuro».<br />
La masseria Carbone può essere eletta a luogo simbolo di una memoria<br />
collettiva che rischia di scomparire silenziosamente e definitivamente, sotto<br />
il rullo compressore dello sviluppo, senza lasciare tracce visibili, se non<br />
nell’immaginario. E anche in questo caso non senza contraddizioni, come<br />
ricorda la moglie di Giacomo: «Se ne song’ fujut’! I miei cinque figli hanno<br />
lavorato nella terra, fino a quando non hanno capito». «E che hanno capito?»,<br />
le chiedo. «Che lavorare la terra fa male», mi risponde in modo secco. In<br />
effetti, nelle testimonianze dei figli di Giacomo è evidente quella componente<br />
di fatica e dolore che, a partire dal dopoguerra, ha alimentato una vera e<br />
propria fuga dalla terra, generalizzata e di dimensioni enormi. Nonostante<br />
l’allontanamento, tuttavia, il rapporto con la terra li continua a segnare, così<br />
come sempre, nel bene e nel male, accade per tutti i figli dei contadini. Sebbene<br />
le chiavi di lettura siano ormai cambiate, come testimonia uno dei figli,<br />
Salvatore: «Sono fuggito da tutto questo, ma oggi rivedo questo mondo, questi<br />
luoghi con un’ottica diversa. Assieme a mio fratello vorremmo riflettere<br />
sull’influenza della cultura contadina nel passaggio di queste tre generazioni.<br />
La perdita della masseria, per noi un luogo di memorie e identità, è un lutto<br />
da elaborare». Il fratello Eugenio ribadisce: «Le mie riflessioni sono riprese in<br />
questo viaggio di ripristino di momenti, di ricordi, di appartenenze, di valori<br />
comuni ad altre culture <strong>contadine</strong>. I segni che hanno lasciato le generazioni<br />
che mi e ci hanno preceduto, sono ancora vivi, anche se lo scempio si è abbattuto<br />
in maniera prepotente. Le forme, i corpi, i linguaggi più impercettibili e<br />
poetici pervadono la memoria di chi li ha vissuti da vicino».<br />
Difatti i ricordi trovano spazio in una delle poesie di Eugenio 5 , che dipinge<br />
così dei vissuti comuni alle culture <strong>contadine</strong> tradizionali:<br />
Mia madre picchiava, anzi mordeva.<br />
Mio padre non c’era, anzi non c’era mai.<br />
Partiva all’alba e faceva ritorno<br />
al finir del tramonto; nel buio, le stelle.<br />
Eravamo in tanti tra schiamazzi ed irrequietezza,<br />
tra grida e pianti.<br />
Cinque! Eravamo cinque figlioli più il resto.<br />
Al crepuscolo cantavamo,<br />
al mattino l’orchestra...<br />
le nostre tazze di alluminio<br />
con il fondo ammaccato<br />
dalla gioia delle cucchiaiate.<br />
Picchiavamo, anzi eccitavamo.<br />
Il latte e caffè! Il latte ancora caldo<br />
schiumoso schiumoso, appena strizzato dalle tette di mucca.<br />
Ancora l’odore impregnato di fresco e di sterco.<br />
Le stalle, le stelle,<br />
il canto,<br />
il caldo e il freddo.<br />
Mia madre mordeva,<br />
denti affilati<br />
la vanga affondava<br />
nel vuoto, nel vuoto...<br />
segni dappertutto nel corpo<br />
lasciava la terra in lacrime.<br />
Il silenzio e il dolore<br />
il dolore e il pianto<br />
mordeva mordeva pure<br />
mia madre<br />
nel vuoto affondava.<br />
Aaaaaaah!<br />
1 Francesco Vignali, autore delle fotografie del volume<br />
2 I friarielli sono le infiorescenze appena sviluppate della cima di rapa, un ingrediente tipico<br />
della cucina napoletana<br />
3 Portuall’ è il nome con cui, in molte zone del Mediterraneo, sono denominate la arance. Il<br />
termine deriva dal greco πορτοκαλιά (portocalià=arancio).<br />
4 Casoria è un paese del napoletano dove si concentra la manodopera stagionale dei lavoratori<br />
extracomunitari<br />
5 Dal testo dello spettacolo teatrale Passando da Pessoa. Uno spiraglio umano di Eugenio Ravo