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Vite contadine - Inea

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160 MONICA CAGGIANO<br />

STRANI QUESTI GIOVANI D’OGGI!<br />

161<br />

con lo sguardo schivo, indaffarato nella riparazione di un impianto elettrico.<br />

Come mi ha riferito una socia: «Nella cooperativa siamo molto uniti, ma il<br />

motore principe è Andrea. È molto ostinato, ha un carattere per certi versi<br />

terribile, ma è stato sempre perseverante. Se avesse ceduto lui, questo progetto<br />

non si sarebbe mai realizzato, invece si è dimostrato tenace e ci ha trascinati<br />

tutti».<br />

Andrea, tra i soci fondatori della cooperativa, ha le mani sporche di terra,<br />

ma oltre che contadino, è all’occorrenza anche falegname, elettricista, cuoco<br />

e via dicendo. È stato il primo operaio dell’azienda e all’inizio ha goduto dei<br />

fondi per l’inserimento dei giovani agricoltori, come mi racconta: «I miei<br />

genitori non erano contadini, ma l’agricoltura mi è sempre piaciuta, anche<br />

se ho iniziato a lavorare presso un’azienda agricola solo in Toscana, dove mi<br />

ero trasferito per studiare Scienze forestali a Firenze. Poi gli studi non li<br />

ho proseguiti. Fino al primo dopoguerra, in Liguria l’attività agricola era<br />

diffusa dappertutto. In seguito si è mantenuta solo nelle zone pianeggianti,<br />

dove c’è stato anche un ricambio generazionale, mentre in queste zone c’era<br />

un’agricoltura più marginale che si è persa completamente e la maggior parte<br />

della popolazione adesso si dedica al turismo. Rendere l’agricoltura remunerativa<br />

qui è molto difficile. Le aziende come la nostra fanno grossa fatica,<br />

hanno sempre una dimensione molto piccola con una conduzione familiare.<br />

In aggiunta, gran parte di quelle che restano appartengono ad agricoltori con<br />

un’età media molto alta.<br />

Non si può dire che nella zona ci sia una memoria dell’antica tradizione<br />

contadina. Ne rimane qualcosa solo come caratterizzazione del paesaggio. Un<br />

esempio sono proprio le fasce, che rappresentano un tratto tipico del territorio<br />

ligure. Anche ai mercati la presenza dei contadini è marginale. Da ragazzo<br />

non ho mai percepito una tradizione agricola locale, che invece ho conosciuto<br />

in Toscana, dove c’è una cultura contadina ancora viva, anche legata alla<br />

musica. Qui si è persa. Quando sono tornato in Liguria, ho iniziato a lavorare<br />

per l’ente che gestisce il Parco, mi occupavo di educazione ambientale per le<br />

scuole. Questo territorio lo conoscevo bene, anche perché sono di Camogli e<br />

sin da piccolo ho apprezzato il bellissimo Parco di Portofino. Lavoriamo su<br />

una proprietà sottratta a un tentativo di speculazione edilizia. Negli anni ’80,<br />

una società di Milano aveva acquistato questi terreni per costruire dei villaggi<br />

turistici, poi fortunatamente il progetto è stato bloccato dal Parco e dalla<br />

Regione. Dopo varie vicissitudini, l’impresa è fallita e un’agenzia regionale<br />

ha acquisito i terreni. Negli anni ’90 c’è stata una legge per il recupero dei<br />

territori del Parco che ne prevedeva anche la valorizzazione ambientale e<br />

agricola 1 . Abbiamo quindi pensato di chiedere in fitto i terreni per creare<br />

un’azienda biologica con un contratto di tipo agricolo. All’inizio ho condiviso<br />

quest’idea con Linda e Giulio, nessuno dei tre aveva delle radici agricole. La<br />

cooperativa è nata nel 2000 con quattro soci, poi negli anni qualche membro<br />

è andato via e qualche altro si è aggiunto. Ora siamo in sette.<br />

I lavori preparatori sono iniziati nel ’98. All’inizio è stato difficile, perché<br />

lavorare con gli enti pubblici è sempre complicato, abbiamo dovuto gestire<br />

i rapporti con la società “Pietre strette”, il Parco, il comune di Camogli e<br />

poi trovare i primi finanziamenti. Un’attività faticosa che ha richiesto<br />

tempo e pazienza. Si può dire che la parte burocratica è stata più difficile<br />

del lavoro vero e proprio. La fatica grossa dei primi anni, dal 2000 fino al<br />

2005, ha riguardato il recupero dei terrazzi, dei percorsi e degli uliveti invasi<br />

dai rovi. Abbiamo iniziato dalla parte più bassa, erano terreni abbandonati<br />

dal dopoguerra. I primi anni sono stati proprio di “decespugliamento”, c’è<br />

stato un grosso lavoro di pulizia degli alberi, che non si vedevano più perché<br />

ricoperti dai rovi. Tutti pensavano che fosse un piano campato in aria, che<br />

non saremo mai riusciti a portarlo a termine. In effetti la fase di preparazione<br />

è stata lunga, i primi risultati sono venuti dopo tre, quattro anni. Solo nel<br />

2005 abbiamo messo mano a questo rustico abbandonato durante la seconda<br />

guerra mondiale. Era un rudere completamente decadente, ne rimanevano<br />

giusto le mura perimetrali ricoperte dai cespugli, tanto che non le vedeva<br />

neanche chi passava dal sentiero».<br />

Il rifugio è stato ristrutturato dagli stessi soci con i criteri della bioedilizia:<br />

pannelli solari per l’acqua calda, isolamento termico, uso del legno di castagno<br />

del Monte di Portofino per travetti, solai e pavimenti, pietra di puddinga,<br />

calce naturale.<br />

«Nel terreno in gestione ci sono cinque ruderi, case agricole potenzialmente<br />

da ristrutturare. L’idea iniziale era quella di recuperarli tutti, poi viste<br />

le difficoltà incontrate, per ora ne abbiamo ristrutturato uno solo. Possediamo<br />

anche una piccola falegnameria. I lavori li abbiamo eseguiti noi con materiali<br />

del posto, ascoltando i racconti dei vecchi abitanti per rispettare la destinazione<br />

dei locali».<br />

Questa parte della storia me la racconta in dettaglio una delle socie fondatrici<br />

della cooperativa, Linda Sacchetti: «Per progettare i lavori di recupero,<br />

abbiamo contattato gli ultimi abitanti di questa casa, Antonio e Angelina.<br />

Lei è mancata l’anno scorso, lui è passato anche a vedere l’agririfugio dopo<br />

il restauro, era molto emozionato. Erano agricoltori fino all’immediato<br />

dopoguerra, avevano questa casa e il terreno in fitto. Ci hanno dato molte<br />

indicazioni sulla vecchia predisposizione della casa e, partendo dai loro<br />

racconti, abbiamo provato a mantenere l’antica configurazione nei lavori di<br />

ristrutturazione. Siamo riusciti, ad esempio, a conservare la vecchia macina.<br />

Qui infatti c’era un mulino, questa era una zona di mulini dove si macinava<br />

la castagna e il grano. Certo non sempre il recupero è stato possibile, in questa<br />

stanza prima avevano una mucca, dove abbiamo fatto la cucina c’erano le

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