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Vite contadine - Inea

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42 MONICA CAGGIANO<br />

e solo in seguito cominciano, per vari motivi, ad avere problemi. Abbiamo<br />

osservato situazioni in cui il ruolo delle famiglie è stato controproducente. C’è<br />

stato persino un ragazzo che aveva risolto i propri problemi, ma la famiglia<br />

per continuare a ricevere il sussidio ha continuato a dichiaralo e trattarlo<br />

come un caso difficile. Alcuni di questi ragazzi sono diventati anche soci della<br />

cooperativa, ma prima è necessario conoscerli bene. All’inizio eravamo meno<br />

rigidi per l’entrata dei nuovi soci, ma abbiamo avuto delle brutte esperienze<br />

e quindi ora siamo più cauti.<br />

Tutti in paese ci conoscono come la “cooperativa dei pazzi”, in realtà alcuni<br />

a Corleone all’inizio pensavano che anche i volontari avessero dei problemi<br />

psichici. Beh, ne abbiamo fatte veramente di cose da pazzi. Una volta abbiamo<br />

lavorato per molto tempo in mezzo ai rovi, in verità stavamo preparando un<br />

vigneto, ma non volevamo farci scoprire per non dare nell’occhio. La gente<br />

rimaneva perplessa, vedendoci sprecare tanta fatica per dei rovi. Ora invece<br />

il nostro è un bellissimo vigneto che vive alla luce del sole. Ma sai, i pazzi<br />

non danno fastidio, li si lascia fare. In questi anni abbiamo subìto anche diversi<br />

episodi intimidatori, però non ci siamo mai lasciati abbattere. Un anno,<br />

proprio nel vigneto dei rovi, ci hanno distrutto tutte le bacche delle vigne<br />

nascenti. Un lavoro di fino, visibile solo a uno sguardo esperto. L’anno scorso<br />

invece ci hanno bruciato diciotto ettari di lenticchie, circa 30.000 euro andati<br />

in fumo e non erano neppure coperti dall’assicurazione».<br />

Mentre Salvatore si racconta, visitiamo la palazzina di tre piani al centro<br />

di Corleone che prima apparteneva ai Grizzaffi, nipoti di Riina, in cui si<br />

svolgono diverse attività sociali della cooperativa e che, da quest’anno, ospita<br />

anche i volontari dei campi di lavoro. Ai piani superiori ci sono le camere da<br />

letto, mentre a piano terra è stata allestita una cucina dove ci dirigiamo per<br />

il pranzo. Sui muri del corridoio campeggiano le locandine del cineforum<br />

organizzato nel periodo dei campi, come spiega Salvatore: «Le proiezioni<br />

sono aperte. È un modo come un altro per richiamare anche la gente del<br />

posto. Ma il coinvolgimento dei locali è la parte più difficile; anche tra i volontari,<br />

pochissimi vengono dalla Sicilia e quasi nessuno da queste aree. Qui un<br />

tempo c’erano degli uffici, poi la palazzina è stata assegnata alla cooperativa<br />

e l’abbiamo ristrutturata; è spartana ma accogliente. La confisca dei beni<br />

consente di colpire la mafia sul piano economico.<br />

I beni ci vengono affidati tramite il consorzio “Sviluppo e Legalità” che<br />

comprende i Comuni dell’area. I sindaci dei paesi aderenti si sono impegnati a<br />

trasferirgli i beni mafiosi confiscati che gli vengono assegnati. Il consorzio poi<br />

affida i beni che, come nel nostro caso, possono essere gestiti dalla cooperativa<br />

mediante un comodato d’uso che dura in genere trent’anni. L’iter burocratico<br />

per l’assegnazione dei beni confiscati è molto lungo, dagli otto ai dieci anni,<br />

quindi quando si acquisiscono, di solito i terreni sono rimasti incolti per<br />

IL PRIMO PAZZO DELLA COOPERATIVA DEI PAZZI<br />

lunghi periodi e prima che diventino di nuovo produttivi passano anche due<br />

anni. Nel frattempo, la cooperativa deve sostenere dei costi di gestione, senza<br />

però possedere dei fondi. Il consorzio fornisce delle opportunità importanti<br />

a realtà come la nostra, anche se l’intera organizzazione potrebbe funzionare<br />

meglio; ad esempio l’accesso al credito può essere un problema, soprattutto in<br />

fase di partenza. I beni non sono di proprietà della cooperativa, che ne ha solo<br />

la gestione, mentre la proprietà resta allo Stato, quindi non c’è la possibilità<br />

di prestare delle garanzie alle banche. Nel nostro caso, ad esempio, i lavori<br />

di ristrutturazione di questa casa, si sono realizzati solo grazie a un finanziamento<br />

di Banca Etica, altrimenti sarebbe stato impossibile partire.<br />

A volte il consorzio fa delle scelte che non riesco a comprendere; il nostro<br />

grano, ad esempio, viene lavorato in un pastificio di Cremona. Mi sembra<br />

una decisione poco corretta perché dovrebbe incentivarsi l’economia locale,<br />

anche perché la lavorazione del grano duro la sanno fare in Sicilia, non a<br />

Cremona. Stiamo provando a chiedere a Libera il marchio per fare la nostra<br />

pasta. Certo c’è sicuramente la difficoltà di trovare in loco un pastificio che<br />

garantisca il rispetto della filiera biologica, un altro problema poi è connesso<br />

alla legalità. In passato per fare le conserve ci servivamo di un’azienda locale,<br />

però in seguito abbiamo scoperto che i proprietari avevano legami con alcune<br />

famiglie mafiose e abbiamo troncato subito ogni rapporto. In Sicilia bisogna<br />

stare sempre con gli occhi aperti, Cosa Nostra ha una diffusione capillare e<br />

puoi trovarne delle appendici dove meno te lo aspetti. Quando si commercializzano<br />

beni trasformati che non sono prodotti direttamente dalla cooperativa,<br />

bisogna essere molto cauti, in Sicilia non si può mai essere certi della<br />

provenienza e poi a noi non basta che i produttori siano neutrali, ossia non<br />

mafiosi, ma mantengano l’anonimato. Sui nostri prodotti bisogna metterci la<br />

faccia, bisogna schierarsi apertamente, dire di no in modo esplicito alla mafia.<br />

Il marchio di Libera ha un valore etico e di mercato, bisogna prestare molta<br />

attenzione a ciò che si mette in piedi. La nostra cooperativa commercializza<br />

solo quello che produce, siamo piccoli e poveri, ma abbiamo fatto una scelta<br />

ben precisa: poveri ma onesti!<br />

Le nostre produzioni sono biologiche, la scelta del biologico è per essere<br />

coerenti con la carica rivoluzionaria della nostra attività: cosa c’è di più<br />

rivoluzionario di un’agricoltura ecologicamente sostenibile ed eticamente<br />

corretta in Sicilia? Al contrario di quanto accade normalmente, il nostro<br />

certificatore per le produzioni biologiche effettua continui controlli in azienda,<br />

spesso arriva fino all’eccesso. Si può dire che è un altro occhio e in un<br />

certo senso fa parte del sistema che ci sorveglia. Che ci vuoi fare, è così: siamo<br />

continuamente osservati.<br />

Nella mia azienda di famiglia in passato non praticavo il biologico. La<br />

scelta del bio da parte della cooperativa è stata una decisione politica, però poi<br />

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