Vite contadine - Inea
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58 MONICA CAGGIANO<br />
Settecento, ma noi qui allora non eravamo neppure una nazione.<br />
I miei antenati coltivavano uva e la vendevano, nella zona c’erano molti<br />
viticoltori e pochi vinificatori. La vinificazione era una prerogativa delle<br />
famiglie ricche e nobili. Al contrario di ciò che qualcuno dice, penso che il<br />
Barolo ancora oggi sia un vino sottovalutato. La maturazione di questa zona<br />
nei confronti di un prodotto nobile e unico è stato un processo molto lento<br />
e lo è ancora. Qui ci sono tuttora grandi prospettive, c’è ancora molto da<br />
fare, nel campo della tutela e della promozione. Sul carattere dei langhetti<br />
forse pesa ancora un retaggio legato al feudo. I Faletti erano dei personaggi<br />
piuttosto ostici, soltanto gli ultimi hanno abbracciato una visione meno conservatrice,<br />
per cui il retaggio è stato pesante, ha influenzato anche le vicende<br />
economiche. La gente di qua è molto individualista, attaccata alla proprietà,<br />
forse per motivi anche comprensibili. Poi è gente molto… stanziale, ecco! Per<br />
creare l’immagine di un prodotto, invece, bisogna viaggiare, muoversi, avere<br />
una visione mercantile che in genere è legata più a chi commercia che a chi<br />
produce. I nobili locali viaggiavano, avevano il senso di come si commercia<br />
e di come si gestisce un vino che è entrato in competizione, magari tardi, coi<br />
grandi vini francesi. Purtroppo anch’io ultimamente viaggio poco, nonostante<br />
la mia passione per le moto, soprattutto d’epoca. Il langhetto è piuttosto<br />
stanziale, anche se ora ci sono produttori nella zona che sono sempre in giro<br />
a far conoscere i loro vini.<br />
Io poi, scherzando, dico che chi pianta la vite non scappa più e questo<br />
l’aveva già capito molto indietro nel tempo il potere, o meglio i poteri. Nel<br />
momento in cui si costringe la gente con una vita piuttosto nomade, che si<br />
dedica a coltivazioni stagionali, a piantare la vite, non può più scappare e da<br />
quel momento la domini e la fai pagare. La castri anche da un punto di vista<br />
intellettuale.<br />
Bisogna poi dire che il Piemonte e anche questa zona, nel Novecento ha<br />
fatto una scelta industriale, o meglio sono state fatte scelte industriali, per<br />
cui la situazione d’indigenza e miseria che c’era nelle campagne ha favorito<br />
la fuga per andare a lavorare nelle fabbriche di Torino o anche più lontano.<br />
Qui vicino inizia la Pianura padana, ricchissima, la pianura più ricca d’Europa,<br />
con una fertilità ineguagliabile, tanto che tutti sono venuti sempre a<br />
conquistarla. Eppure non si è mai fatta una scelta politica precisa, quella di<br />
assegnare un ruolo importante all’agricoltura, di ritenerla la ricchezza di una<br />
nazione, cosa che hanno fatto i francesi, ma anche nel mondo mitteleuropeo.<br />
Qui non è avvenuto, è sempre stata privilegiata l’industria, per cui si sono<br />
create, forse anche volutamente, delle situazioni di difficoltà o altrimenti non<br />
si è sostenuto un progetto affinché in certe zone l’agricoltura mantenesse una<br />
valenza economica, permettendo alla gente di fermarsi. E allora la gente è<br />
scappata. C’è stata una volontà politica chiara, quella di non creare condi-<br />
CHI PIANTA LA VITE NON SCAPPA PIù<br />
zioni economiche perché la popolazione rimanesse, di alimentare la fuga, in<br />
certe zone scontata, perché lì si tratta veramente di agricoltura eroica. Questa<br />
politica è stata deleteria, noi abbiamo sott’occhio le corrispondenti vallate<br />
francesi, dove è stato mantenuto un tessuto sociale ed economico, magari<br />
con forme di assistenzialismo, ma si sono alimentate le condizioni perché la<br />
gente restasse, evitando così grandi situazioni di difficoltà sociale ed ecologica.<br />
Anche nelle zone del Barolo, in passato, tanta gente andava a lavorare<br />
ad Alba, alla Ferrero, alla Miroglio. Quando poi le cose sono cambiate, con<br />
l’inizio di riscontri economici vantaggiosi, ci sono stati anche diversi casi di<br />
ritorno all’agricoltura da parte di emigranti con i genitori rimasti ancora<br />
nella cascina. Certo, oggi qui non è più così, ma nell’Alta Langa e nelle vallate<br />
alpine l’abbandono è stato definitivo. La ricchezza del Barolo è una ricchezza<br />
recente, ma diffusa. Personalmente considero il mondo della fabbrica molto<br />
più povero, perché l’agricoltura ha bisogno di una sequela d’informazioni, di<br />
una serie di capacità molto diversificate e di un forte eclettismo.<br />
Il recupero della ruralità in quest’area è però avvenuto mediante una<br />
spinta così esasperata sulla specializzazione viticola che, se per un verso ha<br />
portato un notevole miglioramento della qualità media dei vini, per un altro<br />
c’è stato un impoverimento delle persone, perché la monocoltura ha come<br />
conseguenza scontata il depauperamento delle persone e del territorio. La<br />
biodiversità è una ricchezza, le famiglie che vivevano in un’azienda mista<br />
avevano una cultura contadina molto più varia e più ricca di quella attuale.<br />
Io sono nato quando l’azienda di famiglia era mista, per cui mi considero<br />
ancora un privilegiato. Ho avuto dei lasciti non soltanto dai miei genitori,<br />
ma anche da tanta gente che veniva a lavorare in azienda o semplicemente<br />
da amici di famiglia. Avevamo la stalla, le mucche, due, tre maiali (tutti avevano<br />
i maiali). Naturalmente, avendo la stalla avevamo anche gli alimenti:<br />
fieno, paglia, foraggi. Poi avevamo un pescheto e il vigneto era circa la metà<br />
di adesso. La ditta di famiglia, nata a fine Ottocento, si chiamava “Barale<br />
Rinaldi”, era la più grossa che c’era a Barolo e comprendeva anche Barale,<br />
che aveva sposato una sorella dei miei bisnonni. Quella di mio nonno era una<br />
famiglia molto grossa, come tutte quelle della sua epoca, quattro fratelli e<br />
due sorelle, poi purtroppo si sono divisi la proprietà. Mio nonno ha costruito<br />
questa casa dal 1916 al 1922, ora ho altri cugini che producono vino, uno<br />
appunto si chiama Barale».<br />
Tra i parenti di Giuseppe Rinaldi c’è anche Bartolo Mascarello, scomparso<br />
di recente. Vignaiolo intellettuale e illustre cantore delle Langhe (che aveva<br />
accompagnato Nuto Revelli per le sue interviste dai contadini della zona).<br />
Bartolo era un tenace difensore della migliore tradizione del vino italiano e<br />
amava definirsi l’ultimo dei mohicani. Così lo ricorda Beppe: «Leggeva molto,<br />
era un uomo di grande cultura. Eravamo legati sia per motivi familiari, sia<br />
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