Noi senza documenti Incontro Mohamed alla stazione di Isola della Scala, dove arriva con una Mercedes bianca di grossa cilindrata. È lo stesso modello del suo socio, un’auto che chiaramente per molti, in Marocco, come in Italia, rappresenta lo status symbol di un certo benessere. «Aleikum salaam» mi risponde sorridendo dal finestrino abbassato, sorpreso del mio saluto in arabo. Ha la faccia serena, ma stanca, probabilmente provato dal digiuno dell’ultimo giorno di Ramadan. Mi guida nella sua azienda, nella Bassa veronese, un’area dominata da grandi colture di cereali e riso, tipiche della pianura padana, come la nebbia che, dalle sei in avanti, sembra di essere dentro a un bicchiere di acqua e anice 1 . Sotto il capannone bianco sono seduti due dei suoi operai, anch’essi marocchini. Ascoltano la nostra discussione senza intervenire. «Ora che c’è il Ramadan, la mattina iniziamo alle otto e finiamo alle dodici. Quando c’è la frutta cominciamo a lavorare alle sei e finiamo alle undici, poi lavoriamo altre due ore di pomeriggio», specifica Mohamed. Sono indubbiamente fortunati a lavorare con un marocchino, un datore di lavoro italiano difficilmente adotterebbe un orario di lavoro più leggero durante il Ramadan. Hanno sguardi dimessi e provati, ben diversi da quelli del giorno successivo, quando in piena attività e con sorrisi distesi rispondono agli auguri per la aid el fitr, la festa della interruzione o festa piccola, seconda festività religiosa più importante della cultura islamica, che celebra la fine del mese lunare di digiuno. Mohamed Najji è nato nel ’61 a Beni Millal, una città tra Casablanca e Marrakech, al centro dell’asse viario che collega le grandi città imperiali del Marocco e rinomata a livello nazionale per la produzione delle arance.
74 MONICA CAGGIANO «La mia famiglia in Marocco è una famiglia di contadini. Producevamo soprattutto olive, orzo, carote, angurie, arance che vendevamo ai mercati. Mio padre è un insegnante di Corano. Eravamo sette figli e tutti, fratelli e sorelle, lavoravamo come contadini. Da quando sono nato lavoro sempre in campagna, sono andato per qualche anno alla scuola di Corano, fino a 14 anni, poi ho scelto di lavorare in campagna». Mohamed è entrato in Italia come la maggior parte degli extracomunitari che diventano immigrati clandestini. Appartiene alla categoria dei più fortunati, coloro che non devono ricorrere ai cosiddetti viaggi della speranza nelle carrette del mare: «All’inizio sono arrivato a Milano con un visto turistico. Avevo degli amici. Mi è piaciuto e mi sono fermato qui. Per quasi un mese ho venduto in strada, poi ho trovato un lavoro in nero, senza documenti. Ho lavorato fino all’inizio del ’90 con un venditore ambulante di bibite, andavamo in giro con un camion. In Marocco non c’è lavoro, magari si trova pure, ma ti pagano poco, poi non si lavora ogni giorno, magari lavori una volta a settimana. In Marocco ho provato anche a fare il commerciante di arance; ho acquistato un’azienda, avevo gli operai e vendevo le arance al mercato, però non si sa il prezzo. A volte si guadagna, a volte si butta via tutto. A volte al mercato ci sono tanti contadini e il prezzo scende, non è come ora che la cooperativa ti dà un prezzo giusto». A differenza di quanto accade alla maggior parte di chi tenta la fortuna in Italia, Mohamed è riuscito a fare quel salto di qualità che solo pochi, pochissimi, riescono a fare in campo agricolo, diventando da bracciante imprenditore. Oggi è socio, nonché consigliere di amministrazione, della cooperativa “Sant’Orsola”, un’organizzazione di produttori agricoli, leader in Italia per la coltivazione e commercializzazione di fragole estive, ciliegie tardive e piccoli frutti: lamponi, more, mirtilli, ribes rosso e bianco, fragoline, uva spina. “Sant’Orsola” è nata nel 1972 come associazione di volontari nella località da cui prende il nome, nella Valle dei Mocheni, in Trentino. La zona, economicamente depressa e caratterizzata dal tipico “esodo dalla montagna”, è situata ad altitudini piuttosto elevate (da 700 a 1400 metri s.l.m.) con condizioni favorevoli solo per alcune colture, come appunto i piccoli frutti, che richiedono terreni sciolti e sub-acidi, acqua non calcarea, sbalzi termici elevati tra il giorno e la notte. La cooperativa conta attualmente 1.300 soci, generalmente piccoli produttori ubicati per la maggior parte nelle vallate del Trentino. Per garantire la disponibilità del prodotto sul mercato per l’intero arco dell’anno, più di recente, l’organizzazione ha esteso il proprio bacino produttivo, grazie all’adesione di nuovi soci nelle zone della Locride, in Calabria, e della Bassa veronese, tra cui Mohamed Najji. L’imprenditore, assieme al suo socio, anche lui di origini marocchine, ge- NOI SENZA DOCUMENTI stisce un’azienda agricola di nove ettari dislocata tra il comune di Isola della Scala e Villafranca di Verona. Nei 27 campi (tre campi misurano un ettaro), si coltivano in ambiente protetto, sotto tunnel o in serre fragole, ribes, lamponi, more, mirtilli. I frutti si raccolgono manualmente, uno a uno, attraverso un lavoro che richiede molta pazienza, in quanto i prodotti raccolti devono presentarsi integri per poter essere poi commercializzati in un mercato molto remunerativo, ma altrettanto esigente rispetto alle caratteristiche estetiche del prodotto. I frutti vengono conferiti alla cooperativa “Sant’Orsola” che li commercializza principalmente come prodotto fresco in Italia e all’estero. Mohamed mi racconta la sua storia in un italiano a volte scorretto, come molti extracomunitari che non l’hanno mai studiato. «Era il 1989 quando sono arrivato in Italia, dopo poco hanno aperto una sanatoria e ho preso il permesso di soggiorno. Appena l’ho avuto sono ritornato al mio paese. Quando ho avuto i documenti ero contento, mi sono sposato e sono tornato direttamente a Trento, dove c’erano i miei amici che lavoravano nelle cave. Spaccavano le pietre, facevano i cubetti. Quando io ero a Milano ci vedevamo la domenica e i giorni di festa. Ci raccontavano che avevano il permesso di soggiorno, un lavoro, la busta paga. Noi senza documenti sognavamo di avere quelle cose lì. Quando sono tornato, quindi, sono andato direttamente a Trento. In una settimana ho trovato lavoro in una cava, spaccavo pietre; poi ho iniziato a raccogliere le fragole e la sera andavo a consegnare la frutta alla “Sant’Orsola”. Così ho conosciuto il direttore di allora, ho parlato con lui e mi ha offerto un lavoro come camionista per la cooperativa. Per un anno ho lavorato con la patente internazionale, poi ho preso quella italiana, ho fatto tutti i mercati d’Italia. Lavoravo di notte, dormivo a casa solo il sabato sera. Un lavoro duro. D’inverno, quando non c’è frutta, andavo a consegnare le piante, la torba ai contadini e avevo il tempo di parlare con loro, di farmi spiegare le cose, così studiavo e ho imparato tanto. Poi un giorno ho detto al direttore della “Sant’Orsola” che volevo cercare un terreno e coltivare i piccoli frutti come socio del consorzio. Lui è stato d’accordo e assieme a un mio amico marocchino abbiamo iniziato. Ho cominciato nel ’97 con il mio socio, ma non potevo correre il rischio di lasciare il lavoro. Lui lavorava alla coltivazione e io continuavo a lavorare come camionista per la cooperativa e con quello che guadagnavo, mangiavamo tutti e due. Il mio socio lo conosco bene, tra noi c’è fiducia, è un mio vicino di casa in Marocco, poi abbiamo lavorato a Trento assieme alla raccolta delle fragole». Il socio di Mohamed arriva in azienda il giorno della aid el fitr, per fare gli auguri al suo socio e agli altri operai, parla in un italiano a volte difficile da comprendere. È arrivato in Italia nello stesso periodo di Mohamed e ha affrontato un percorso analogo, “graziato” dalla sanatoria che gli ha concesso 75