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Vite contadine - Inea

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200 MONICA CAGGIANO<br />

NON RIMARRà CHE LA CAMPAGNA<br />

201<br />

primo ’900, intorno agli anni ’20; lavoravano la terra di uno dei più grossi<br />

padroni della città, Zagarella, poi sono riusciti a riscattarla, lavorando, lavorando<br />

o meglio arraggiando, arraggiando, giacché si dice che imbrogliassero i<br />

padroni sui raccolti e sulla vendita (e allora non era difficile, visto che i grossi<br />

proprietari non riuscivano a seguire tutta la produzione agricola). Arrivarono,<br />

quindi, alla riforma agraria che avevano già riscattato la terra. Mio nonno<br />

coltivava principalmente le vigne, poi trasformava l’uva e vendeva il suo vino<br />

a Matera, dove aveva una cantina e un negozio di cotone e filati di cui si<br />

occupava la nonna.<br />

Mio nonno è stato un buon imprenditore, magari senza volerlo neppure<br />

veramente, al contrario di mio padre che invece, nonostante le intenzioni,<br />

non è stato un buon imprenditore. Mio padre era l’unico contadino della<br />

famiglia, ha ereditato la terra e si occupava di tutto il bilancio familiare. Fino<br />

a quando io avevo dieci anni avevamo le vacche, circa una cinquantina di capi<br />

in produzione. La masseria fu costruita proprio con l’idea di fare l’allevamento,<br />

però l’investimento non è andato bene. Quando mio padre si è sposato,<br />

a quarant’anni, aveva già affrontato una serie di spese, soprattutto quella<br />

grossa della masseria costruita negli anni ’60, per cui ha intrapreso l’attività di<br />

allevatore senza grandi disponibilità finanziarie e per iniziare ha chiesto un<br />

debito. La produzione, però, non è riuscita a compensare questo disavanzo e<br />

quindi, da bravo imprenditore, ha rischiato facendo una serie di investimenti<br />

per migliorare l’azienda. I ricavi, però, non sono aumentati, mentre il debito<br />

è cresciuto e a un certo punto è diventato eccessivo, per cui ha dovuto vendere<br />

le vacche, dismettere l’allevamento e licenziare gli operai, tamponando così<br />

solo una parte del debito. Negli anni successivi, con il lavoro della terra, pian<br />

piano, è riuscito a ripagare il resto e il mutuo della casa di Matera, che nel<br />

frattempo si era aggiunto. Quando si è tolto le vacche si è alleggerito moltissimo,<br />

giacché con l’allevamento gran parte del suo guadagno diventava salario<br />

per gli operai, poi l’azienda era troppo piccola per competere con le economie<br />

di scala delle grandi imprese e troppo grande per rivolgersi solo al mercato<br />

locale. In seguito ha prodotto solamente grano e, prima del calo grosso, ne<br />

coltivava circa trenta ettari, in un terreno in parte di proprietà, in parte preso<br />

in fitto dal Comune mediante contratti agevolati che sono tuttora in vigore.<br />

Da nove anni a questa parte, ossia da quando mi occupo personalmente<br />

dell’azienda, sono cambiate una serie di cose: sono passato al biologico e<br />

solo tredici dei trenta ettari disponibili sono destinati ai cereali, che vengono<br />

coltivati in rotazione. Stiamo inserendo in maniera graduale i legumi, come<br />

coltura nostra, antica, che non necessità di grosse quantità di acqua. Dobbiamo<br />

infatti fronteggiare questa carenza e fare un’operazione di organizzazione<br />

della terra anche senza un’eccessiva capacità idrica, considerando che oggi<br />

trenta ettari a seminativi asciutti corrispondono a un reddito medio-basso.<br />

Questa è una zona di acque sorgive, ma con quello che abbiamo riusciamo<br />

a irrigare circa due ettari di orto sinergico, che necessita di meno acqua rispetto<br />

all’orto convenzionale. Anche per questo abbiamo scelto di sperimentare<br />

l’agricoltura naturale di Fukuoka 1 ; per ora abbiamo 3000-4000 metri di orto<br />

sinergico con una coabitazione di piante che crescono molto lentamente. L’orto<br />

sinergico nasce come un adattamento al clima mediterraneo dell’agricoltura<br />

naturale. In realtà, non c’è una definizione esatta di agricoltura sinergica<br />

perché ogni area ha il suo clima, il suo terreno, le sue stagioni e, quindi, c’è<br />

bisogno di un adattamento dell’orto sinergico a quelle specificità. Per cogliere<br />

le soluzioni migliori, ci vorrebbe un confronto continuo tra gli agricoltori che<br />

la praticano in una determinata zona, ma qui è difficile perché non c’è quasi<br />

nessuno che la adotta. “L’agricoltura del non fare” si basa su di un fraintendimento,<br />

in realtà il non fare intende non fare cose sbagliate, non significa<br />

non fare niente. Abbiamo preparato un primo pezzettino per l’orto invernale<br />

e poi siamo partiti con quello estivo. Abbiamo predisposto dei bancali sopraelevati,<br />

raccogliendo la terra dai passaggi e riportandola nelle aiuole, la<br />

separazione della zona dove si lavora da quella dove crescono le piante evita<br />

la compattazione del suolo. Abbiamo usato la paglia per la pacciamatura del<br />

terreno, che impedisce la crescita delle erbe spontanee, mantiene l’umidità<br />

del suolo, lo protegge dall’erosione e ne evita il compattamento, in pratica si<br />

riproduce l’azione delle foglie nel sottobosco. Abbiamo seminato il trifoglio,<br />

che fissa anche l’azoto e tagliato l’erba che non è stata spostata, ma lasciata sul<br />

posto. Succedono delle cose molto strane nel nostro orto sinergico, piuttosto<br />

inspiegabili, la crescita rigogliosa di alcune colture e l’improduttività di altre.<br />

Se uno facesse una valutazione immediata direbbe che non funziona, ma so<br />

bene che ora, dopo solo un anno, non si può fare nessun tipo di stima, bisogna<br />

aspettare un po’ di tempo. Per questo conserviamo ancora un orto biologico<br />

tradizionale di 3000 metri, che funziona sia come orto invernale, che come<br />

orto estivo con le leguminose per la rotazione.<br />

Abbiamo poi presentato un Progetto di forestazione produttiva alla<br />

Regione Basilicata. In tredici ettari abbiamo piantato 8000 alberi, senza fabbisogno<br />

irriguo: noci, ciliegi, aceri, frassini, acacie. Questo è stato il lavoraccio<br />

degli ultimi tre anni, ma assicura un certo budget economico, giacché c’è<br />

stato un buon finanziamento dell’impianto e ho fatto quasi tutti i lavori io. In<br />

aggiunta, è previsto un contributo annuale alla manutenzione dell’impianto<br />

prima del taglio, per trent’anni. Certo, i pagamenti non sono sempre regolari,<br />

anch’io ho dovuto contrarre un debito per realizzare l’impianto, ma a<br />

differenza di mio padre avevo un decreto che mi garantiva un’entrata quasi<br />

certa. All’inizio, le banche non mi hanno fatto grandi problemi per ottenere<br />

il finanziamento, perché era una formula piuttosto garantita, poi purtroppo<br />

i pagamenti regionali sono arrivati con un ritardo di due anni e, quindi, per

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