Vite contadine - Inea
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64 MONICA CAGGIANO<br />
Quando i processi di crescita sono troppo veloci è probabile che il dio denaro<br />
trionfi sull’etica, sul concetto di difesa e tutela. C’è un rischio, noi siamo<br />
stati e siamo a rischio, anche perché la gente purtroppo matura lentamente,<br />
bisognerebbe che le cose fossero graduali e sedimentate. Bisogna stare attenti,<br />
nel vino ci può essere un guadagno facile, troppo rapido. Qui il riscontro,<br />
anche internazionale, c’è ed è stato fin troppo veloce. Anche adesso stanno<br />
crescendo nuove realtà produttive, imprenditori che hanno avuto successo<br />
e sentono il bisogno di una cantina comoda, più grande e più moderna.<br />
L’arricchimento improvviso non è stato governato con cautela e nella zona<br />
si è avuta una cementificazione talvolta scriteriata. Il Barolo è un vino che<br />
ha successo in tutto il mondo, però bisogna preservarne le caratteristiche più<br />
originali. In quest’area si sono limitati gli stravolgimenti, non ci sono stati gli<br />
investimenti di capitale esterno, come è avvenuto in Toscana. Questa invece<br />
è una zona ristretta, che non si può allargare più di tanto. Poi i langhetti sono<br />
molto legati alla terra, è raro che vendano, anche coloro che sono andati in<br />
fabbrica a fare gli operai è ben difficile che abbiano venduto il terreno, in genere<br />
lo hanno affittato o lo hanno lasciato in abbandono. Alcuni poi sono stati<br />
recuperati, altri invece sono ancora abbandonati, ma non hanno venduto. Ciò<br />
ha preservato l’artigianalità delle produzioni. Personalmente ho una visione<br />
artigianale delle cose, né io, né mio padre abbiamo voluto ampliare più di<br />
tanto l’azienda per non perderne il controllo, l’artigianalità è sempre stata<br />
una prerogativa e un disegno da perseguire.<br />
Ho ancora clienti che hanno conosciuto mio nonno, rari però ci sono.<br />
Io invece mio nonno non l’ho mai conosciuto. È morto un anno prima che<br />
nascessi, si chiamava come me, Giuseppe. Mi spiace non averlo conosciuto.<br />
Vorrei chiedergli un sacco di cose, sul vino e un po’ su tutto. Da questa casa,<br />
dai racconti e anche dalle etichette che ha lasciato (uso ancora l’etichetta di<br />
mio nonno) è chiaro che credeva in quello che faceva e svolgeva la propria<br />
attività con convinzione, come del resto mio padre, anche lui era uno che ci<br />
credeva». Buon sangue non mente, mi viene da pensare mentre saluto Beppe<br />
sull’uscio di casa e sento che ho già voglia di ritornare.<br />
1 Le etichette, intitolate “A chi di “Guide” si interessa”, presentano la seguente dicitura:<br />
“Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio<br />
dei miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro “Italian Nobles Wine” scrisse<br />
che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma,<br />
è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica. Non ho cambiato<br />
idea, interesso una ristretta fascia di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola<br />
da 20 mila bottiglie l’anno, credo nella libera informazione anche se a giudizio negativo.<br />
Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori o opposte fazioni,<br />
interiormente ricca perché stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo<br />
in grado d’esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre natura,<br />
non è stato premiato. È un sogno? Permettetemelo. Teobaldo”.