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Vite contadine - Inea

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24 MONICA CAGGIANO<br />

finanziamento di 390 milioni di vecchie lire, di cui la metà a fondo perduto.<br />

Il capitale è servito per realizzare il laboratorio per la trasformazione del<br />

miele, le attrezzature e un tunnel per i funghi che non è mai stato usato,<br />

giacché nel frattempo il prezzo sul mercato dei funghi è crollato e non era più<br />

remunerativo coltivarli iniziando da zero. Abbiamo fatto un investimento<br />

troppo grande, siamo caduti nel meccanismo perverso dei consulenti che ci<br />

suggerivano passi più lunghi delle gamba. In Sardegna sono molte le aziende<br />

che si trovano strette nella morsa dei debiti, si tratta di aziende molto specializzate<br />

e quando entra in crisi il loro mercato crollano. Anche noi abbiamo<br />

attraversato la crisi del miele; per molti anni è stato difficile proprio viverci,<br />

i prezzi erano molto bassi e il lavoro enorme, ma avevamo altri prodotti<br />

che ci hanno salvato, come le erbe, non si trattava proprio di monocoltura.<br />

Ci ha aiutato anche la capacità creativa, Anna si è messa a fare altro, cucire<br />

cuscinetti o cose del genere».<br />

Chiedo a Roberto di fare un passo indietro nel tempo, di parlarmi di<br />

come ha conosciuto Anna e delle origini dell’azienda: «La mia famiglia è<br />

emigrata a Torino nel ’59, mio padre era minatore e con la crisi del settore ha<br />

cercato una soluzione alternativa. Era indeciso, voleva andare in Francia, ma<br />

a Torino c’era un nostro paesano che lo ha convinto a raggiungerlo. Siamo<br />

arrivati a Torino il giorno di ferragosto, allora avevo sei anni. Lì ho vissuto 25<br />

anni, ho fatto tutte le scuole, sono perito aeronautico». E aggiunge dopo una<br />

bella risata: «In aeronautica non ho mai lavorato, ho invece iniziato a lavorare<br />

alla SIP, dove lavorava anche Anna…». A questo punto sopraggiunge Anna<br />

con il pane caldo e il caffè, che esclama: «E no, la mia parte la racconto io.<br />

Allora, mio padre faceva il muratore e mia madre la contadina. Era andata<br />

via dal Friuli, mi raccontava che per un certo periodo aveva fatto la mondina<br />

nel vercellese e poi si è trasferita a Torino dove ha sposato mio padre. Non<br />

so esattamente come si erano conosciuti. Abitavamo alla periferia di Torino,<br />

dove mio padre coltivava un orto, un orto gigantesco, perché ricordo che<br />

vendeva i suoi prodotti. A quell’epoca ero bambina, nella zona c’era tutta<br />

una serie di orti, poi hanno iniziato a costruire, hanno fatto dei palazzoni,<br />

delle case popolari, anche sul terreno dove sorgeva il nostro orto. Mia madre<br />

invece nell’orto coltivava dei fiori. A quanto ho capito aveva un rifiuto della<br />

campagna, tanto che quando in seguito io volevo fare a tutti i costi l’orto in<br />

una casa che avevamo in campagna, mia madre era restia; mi diceva che aveva<br />

faticato tanto nella terra da ragazza e non aveva voglia di ricominciare. L’orto<br />

lo facemmo lo stesso, un fazzoletto di terra che non ci dava neppure il necessario<br />

per i nostri bisogni. Io zappavo e facevo i lavori pesanti e lei seminava,<br />

raccoglieva. Alla fine questa passione per la terra era una cosa che sentivamo<br />

tutti e due. La campagna l’ho sempre avuta, tant’è vero che, pur abitando a<br />

Torino, in tutti i momenti liberi e quando alle cinque del pomeriggio uscivo<br />

ALLA FINE ARRIVANO LE DONNE E COMINCIANO A CANTARE<br />

dal lavoro, schizzavo in montagna, a quaranta minuti da casa. Praticamente<br />

vivevo lì. Ho studiato in una scuola di avviamento commerciale, alla licenza<br />

volevo fare l’hostess, poi a quindici anni ho iniziato a lavorare alla SIP, dove<br />

ho conosciuto Roberto. Allora eravamo solo amici. In seguito lui chiese un periodo<br />

di aspettativa per provare a lavorare in campagna e ritornò in Sardegna.<br />

Nel frattempo, avevo fatto un corso di apicoltura e avevo le api in montagna.<br />

Era l’83, quando ho avuto la mia prima arnia, l’avevo pitturata tutta azzurra<br />

e gialla. Era venuta bene, tra l’altro ce l’ho ancora qui. Avevo raccolto una<br />

famiglia di api in un tronco di albero, un castagno secolare abbattuto da un<br />

fulmine. Una cosa fantastica, una famiglia incredibile con dei favi così lunghi.<br />

Per raccoglierla avevo chiamato tutti i miei amici, tra cui un vero apicoltore,<br />

che tra l’altro ci ha trasmesso la passione per le api, eravamo tutti equipaggiati<br />

con cose di fortuna. Io queste api le adoravo. Per me le api sono davvero una<br />

cosa che mi prende dentro, occuparmi di loro non è un lavoro. Ecco, c’è chi<br />

ha varie passioni: per me le api sono al primo posto. Ma come in qualsiasi<br />

cosa se non fai la tua bella esperienza, fai moltissimi errori. Il mio errore era<br />

proprio quello di adorarle, tutti i miei momenti li passavo davanti all’arnia a<br />

guardare le api che andavano e venivano, poi aprivo, frugavo dentro, tant’è<br />

che le ho frugate troppo, nel senso che andavo addirittura con l’ombrello,<br />

sotto la pioggia, aprivo l’arnia, tiravo fuori i telaini. Quando mi sembrava<br />

fossero all’ombra, le prendevo e le spostavo al sole, cosa assolutamente da non<br />

fare perché così si perde metà della famiglia. A un certo punto, queste api<br />

si sono indebolite sempre di più e alla fine sono morte. La prima esperienza<br />

è andata male. Da tempo dicevo a Roberto che sarei andata a trovarlo un<br />

fine settimana, ma c’erano le api da accudire. Quando le api morirono non<br />

sapevo cosa fare, ero un po’ triste e allora gli ho detto: vengo a trovarti questo<br />

fine settimana. E sono tornata anche il fine settimana successivo. Dopo essere<br />

tornata per tre fine settimana, ho pensato che la cosa cominciava a costarmi<br />

un pochino, tra l’altro in SIP c’era una grossa ristrutturazione e chi voleva<br />

trasferirsi veniva agevolato, però praticamente erano solo tre settimane! Poi<br />

stavo progettando uno dei miei viaggi favolosi. Allora viaggiavo, ora mi piace<br />

ancora, ma praticamente non lo faccio più. Ero lì che rompevo l’anima a tutti:<br />

non so se andare nel Bormio, in Nuova Guinea, non so, non so, non so… poi<br />

ho detto: mi trasferisco in Sardegna! In quel momento eravamo liberi di fare<br />

quello che volevamo: ritornare a Torino, dove avevamo tutto, lavoro, casa<br />

in montagna e via dicendo, o restare qui e ricominciare da capo. Noi due<br />

stavamo benissimo assieme e sapevamo che lo saremmo stati ovunque, quindi<br />

decidemmo di trasferirci in Sardegna, in campagna.<br />

«Abbiamo trovato questo pezzo di terra, dove non c’era nulla, solo<br />

quell’uliveto, e abbiamo fatto costruire una casa. È successo tutto nell’arco di<br />

pochi mesi. Nell’84 mi sono trasferita in Sardegna, a ottobre abbiamo acqui-<br />

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