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1. La tradizione - Centro di studi Filologici Sardi

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ganza dell’inten<strong>di</strong>tore. Petrarca giu<strong>di</strong>cò i testi redatti in scrittura carolina<br />

(realizzati tra il IX e l’XI secolo) come testi risalenti alla tarda-latinità, e<br />

considerò la carolina la scrittura romana da imitare. Fu così che, con epicentro<br />

prevalentemente Firenze, si cominciò a produrre libri <strong>di</strong> formato me<strong>di</strong>o<br />

e piccolo (comunque più piccolo <strong>di</strong> quello scolastico) con un’unica colonna<br />

<strong>di</strong> scrittura, privi <strong>di</strong> glosse, commenti e rubriche riassuntive, ma soprattutto<br />

opera <strong>di</strong> copisti professionisti (Niccolò Piccoli, Poggio Bracciolini),<br />

generalmente laici, che ispirandosi al modello della carolina inventarono<br />

la scrittura umanistica, chiara, ariosa, con poche abbreviazioni, che <strong>di</strong>venne<br />

modello degli stampatori italiani (in testa Aldo Manuzio) il quale, per<br />

il formato, sceglierà quello del libro da mano, piccolo e maneggevole,<br />

giunto sino ai nostri giorni.<br />

Nel Me<strong>di</strong>oevo, dunque, come nell’età antica, l’unico modo per riprodurre<br />

un libro consisteva nel copiarlo; copiare non è un’attività meccanica, e<br />

tanto meno lo è copiare attraverso i secoli, che comporta inevitabilmente riflettere<br />

nel testo, o meglio sul testo, il contesto culturale in cui le copie vengono<br />

tratte.<br />

Questo lungo viaggio dei testi nella cultura europea, dal momento in cui<br />

vennero scritti alla nascita e <strong>di</strong>ffusione della stampa non rappresenterebbe<br />

un problema, se <strong>di</strong> tutte le opere avessimo conservato l’originale e se ogni<br />

copia ci fosse pervenuta preferibilmente nel luogo in cui è stata redatta. In<br />

questo caso, non avremmo dubbi sulla forma e sul contenuto del testo così<br />

come l’autore li ha voluti e in più avremmo modo <strong>di</strong> ricostruire la storia<br />

della ricezione dei testi nei <strong>di</strong>versi contesti. Ma così non è. Non posse<strong>di</strong>amo<br />

l’originale <strong>di</strong> nessuna opera dell’antichità classica. Il più antico testimone<br />

che posse<strong>di</strong>amo dell’Eneide è, per esempio, del IV secolo. Ma questo vale<br />

anche per le letterature romanze dei primi secoli. Il primo trovatore, Guglielmo<br />

IX d’Aquitania, è vissuto tra la fine dell’XI e i primi del XII secolo;<br />

la maggior parte dei trovatori ha operato tra il XII e il XIII secolo: delle loro<br />

opere non ci è pervenuto alcun originale, i manoscritti rimastici sono tutti<br />

miscellanei, cioè sono co<strong>di</strong>ci che raccolgono i testi <strong>di</strong> più trovatori e non<br />

solo <strong>di</strong> uno, e sono databili a partire dal 1240. Non posse<strong>di</strong>amo l’originale<br />

<strong>di</strong> Giacomo da Lentini, <strong>di</strong> Guittone d’Arezzo, <strong>di</strong> Cino da Pistoia, <strong>di</strong> Guido<br />

Cavalcanti ecc. Non posse<strong>di</strong>amo l’originale della Divina Comme<strong>di</strong>a (il più<br />

antico manoscritto completo risale a circa 16 anni dopo la morte <strong>di</strong> Dante<br />

avvenuta nel 1321).<br />

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