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SUONO n° 477

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STORIE<br />

Cosmic Charlie o le ultime avventure<br />

dell’astronave hippie<br />

Ci sono dischi e gruppi rock finiti nel dimenticatoio o peggio bollati come merdacce per superficiale<br />

conoscenza del gruppo stesso.<br />

Ricordo quando anni<br />

- tanti - fa dissi a un<br />

noto direttore di ancor<br />

più noto mensile musicale che<br />

sarei andato a vedere il concerto<br />

dei Jefferson Starship: mi guardò<br />

schifato e commentò perplesso.<br />

Quella sera sul palco c’erano Paul<br />

Kantner, Marty Balin e Jack Casady,<br />

oltre a ottimi musicisti di<br />

supporto. Non c’era Grace Slick<br />

che con molto più onore di tanti<br />

suoi coetanei si era ritirata dalle<br />

scene a poco più di cinquant’anni<br />

di età. Il concerto fu ottimo e dignitoso,<br />

ma non è questo il punto:<br />

<br />

‘70 e negli ‘80 i Jefferson Starship<br />

fecero dischi spazzatura, ne fecero<br />

nei Settanta quattro, magari tre e<br />

mezzo, di grandissimo livello che<br />

la memoria storica del rock ha<br />

invece eliminato dalle cronache.<br />

Se pensiamo che quel periodo<br />

storico diede vita a band ben più<br />

grossolane ma ancora oggi all’onore<br />

delle cronache (Foreigner,<br />

Journey, Kansas, REO Speedwagon),<br />

gli Starship meriterebbero<br />

senz’altro più rispetto.<br />

Tra il 1970 e i 1976 uscirono<br />

infatti Blow Against The Empire,<br />

manifesto politico e musicale<br />

di una generazione in rivolta,<br />

simbolo della comunità libertaria<br />

di San Francisco, anticipatore di<br />

quel capolavoro che fu un anno<br />

dopo If I Could Only Remember<br />

My Name di David Crosby che<br />

già figurava in questo lavoro<br />

insieme agli altri guru della scena.<br />

Era un’anticipazione, ma già<br />

compariva l’astronave Jefferson<br />

a scaldare i motori. Per un paio<br />

di anni gli Airplane avrebbero<br />

continuato a volare, ma era già<br />

stata lanciata la promessa di<br />

nuove avventure cosmiche. È<br />

nel 1974 che arriva il primo vero<br />

disco dell’astronave dopo un disco<br />

solista di Grace Slick (Manhole,<br />

peraltro bello anch’esso). Con<br />

una formazione autenticamente<br />

spaziale (Grace Slick, Paul<br />

Kantner, John Barbata, Craig<br />

Chaquico, Papa John Creach,<br />

Pete Sears, David Freiberg in<br />

più Marty Balin alla voce in un<br />

brano, Caroline) Dragon Fly<br />

era un aggiornamento del sound<br />

psichedelico californiano dove fu<br />

geniale l’innesto di un violinista di<br />

colore dal tocco jazz. Un gruppo<br />

che poteva permettere un’ampia<br />

rotazione di compositori dai gusti<br />

diversi, e soprattutto due musicisti<br />

straordinari, il giovanissimo<br />

chitarrista Craig Chaquico, mai<br />

sopra le righe e dotato di un ottimo<br />

tocco un po’ alla Duane Allman, e<br />

uno dei più formidabili batteristi<br />

dei ‘70, anche lui oggi dimenticato,<br />

Johnny Barbata. Che gli Starship<br />

pur guardando al mainstream<br />

rock fossero dotati di un tocco di<br />

classe lo dimostrano l’iniziale Ride<br />

The Tiger, di potenza espressiva<br />

fulminante, la tipica ballata<br />

californiana Caroline, ma su tutte,<br />

un’immensa Hypdedrive, sorta di<br />

142 <strong>SUONO</strong> giugno 2013

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