SUONO n° 477

NUOVE E VECCHIE FRONTIERE
Bob Baker
averlo per ottenere risultati continuativi”. Il fatto
che internet consenta di divenire produttori genera
due correnti di pensiero contrastanti: da un lato
chi, come Moroder, lo considera creativamente
stimolante (anche se il mercato diventa quasi una
lotteria, con molte opportunità ma con un numero
enorme di giocatori ed aspiranti vincitori), dall’altro
chi ritiene che ciò possa fungere da volano
per una generazione di wannabee, incapace di
confrontarsi con quanto creato in passato. Pare
la sua vendibilità, e che contrasti gli assiomi del self-publishing.
Non basta pubblicare, bisognerebbe creare una propria identità
con selezione ed assoluta cura dei contenuti. I servizi a pagamento
per distribuire musica digitale, invece, eludono la selezione, e non
fanno nulla per arginare il proliferare di opere monotematiche e
dallo scarso livello qualitativo, anzi, in molti casi ne determinano la
così non viene adeguatamente sfruttata, col risultato di imbattersi
con facilità in cataloghi con decine (se non centinaia) di pubblicazioni
che lasciano indifferenti. Tale pratica, che predilige la logica quanti-
le novità quotidiane dei portali di musica digitale. A ciò si aggiunge
la corsa dissennata alla clonazione dei successi altrui, che consiste
nella riproduzione di un modello non fecondato da nuove idee. Una
digitale naturalmente, che gioca a svantaggio della creatività. Ma
a governare il consumo di musica, decidendo come e quali artisti
perché internet offre un nuovo potere agli utenti, dando la possibilità
di decidere autonomamente chi e cosa ascoltare. Ciò sta innescando
una nuova rivoluzione: dopo la download generation degli anni Zero,
all’orizzonte c’è la streaming generation, che non sente nemmeno la
necessità di scaricare, poiché sempre connessa in rete, col computer,
col tablet o col telefono cellulare. Persino la vecchia radio perde la
sua valenza. Le web radio (et similia
che operano sull’etere.
Ma come sopravviveranno gli artisti, se i fan si accontenteranno di
nel libro Free, risponde alla cantautrice Sheryl Crow che lamenta
il problema, asserendo che il valore del web non si misura solo in
termini monetari. “La Crow guadagnerà con concerti, merchandising,
licenze per spot pubblicitari, colonne sonore
valuta reputazionale non trascurabile”. Ciò però
riguarda solo chi può ambire a certi risultati. Non
tutti quelli che producono musica, infatti, possono
aspirare a concerti, serate, a vendere t-shirt e
cappellini col proprio nome stampato sopra, o a
sentire i propri brani in spot televisivi o addirittura
tale, in tanti possono solo sognare di esibirsi in
pubblico, pur producendo ottima musica. Inoltre
sorta di limbo, dove la propria popolarità o è in-
che garantiscono a priori la riuscita dell’evento, o al
contrario è troppo alta per quei (piccoli) locali che
non possono permettersi di far fronte ai loro cachet. Il guadagnare
dalle serate, allora, è un concetto valido solo per una certa fascia di
È demoralizzante ed ingiusto pensare alla musica come forma artistica
da tenere in vita solo attraverso la correlazione ai live ed espedienti
derivato dall’uso improprio della tecnologia, sia un disincentivo
per alcuni artisti e un’insidia per il valore dei loro prodotti, demo-
riguarda anche la democratizzazione di cui parla Moroder: è vero
che oggi chiunque può diventare, con pochi mezzi, un produttore,
ma è altrettanto vero che il successo pare continui a dipendere da
fattori esterni, in primis dalla promozione lautamente sovvenzionata
te,
il livello di popolarità (e quindi il cachet) e la monetizzazione
38 SUONO giugno 2013