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Storia della Sardegna antica<br />
cesso si sarebbe orientato fin dalle prime battute in modo scandalosamente favorevole<br />
ad Albucio. Fu invece accolta la richiesta (postulatio) di Giulio Cesare<br />
Strabone, cui seguì l’accusa vera e propria; una volta formata la giuria, ebbe<br />
luogo il dibattimento coll’assunzione delle prove. Alla fine delle varie fasi del<br />
processo, il pretore raccolse i voti dei membri della giuria, che si espressero a<br />
maggioranza per la condanna: le tavolette cerate con la C nel senso di c(ondemno)<br />
risultarono più numerose di quelle con la A, a(bsolvo).<br />
Fu così che Cesare Strabone riuscì a dimostrare la colpevolezza di Albucio,<br />
ottenendo un verdetto negativo per l’accusato da parte dei giurati che erano<br />
stati convinti da testimoni imparziali e da documenti ufficiali autentici: eppure,<br />
osserva Cicerone, qualche sardo lo aveva elogiato. Albucio scelse l’esilio, con il<br />
divieto di rientrare in suolo patrio, pena la morte (interdictio aquae et igni). Decise<br />
quindi di recarsi ad Atene dove poté dedicarsi agli amati studi di filosofia in<br />
perfetta serenità d’animo, nonostante la condanna inflittagli.<br />
Ancor più scarne notizie abbiamo riguardo ad un secondo processo celebrato<br />
contro un altro magistrato accusato di concussione, che Cicerone cita insieme<br />
a Tito Albucio, un Gaio Megabocco, col titolo forse di propretore, usuale<br />
dopo la riforma sillana dei governi provinciali. Pare che questo personaggio,<br />
per noi oscuro, sia stato giudicato e poi condannato alla fine del suo mandato,<br />
sicuramente prima del 54 a.C., forse in relazione alla lex Iulia de pecuniis repetundis:<br />
eppure anche in questo caso c’erano stati alcuni testimoni sardi che non solo<br />
avevano difeso il governatore, ma ne avevano fatto addirittura l’elogio.<br />
Una qualche definizione cronologica ci è fornita da Plutarco, che ricorda un<br />
Megabocco, difficilmente da identificare con il propretore della Sardegna, che<br />
combatté al fianco di Crasso il giovane e morì nella battaglia di Carre contro i<br />
Parti nella primavera del 53 a.C. Tale identificazione è accolta da alcuni studiosi<br />
per i quali il Megabocco di cui parla Cicerone in una lettera ad Attico del<br />
59 a.C. e il Megabocco morto a Carre sei anni dopo, menzionato da Plutarco,<br />
sono la medesima persona. Appare in realtà alquanto problematico procedere<br />
ad un’identificazione dei personaggi citati ed in particolare del Gaio Megabocco<br />
ricordato insieme ad Albucio nella Pro Scauro come governatore della<br />
Sardegna, condannato per concussione, con gli omonimi menzionati da Cicerone<br />
(nell’epistola indirizzata ad Attico) e da Plutarco. Ammesso anche che i<br />
due personaggi citati da Cicerone siano un’unica persona, sembra inverosimile<br />
che Plutarco si possa esser riferito al governatore concussionario della Sardegna,<br />
processato e dichiarato colpevole prima del 54 a.C. Come si è detto,<br />
sembra accertato che il processo contro Megabocco si sia svolto secondo la<br />
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iii. Roma in Sardegna: l’età repubblicana<br />
prassi sancita dalla lex Iulia del 59 a.C., con la quale il procedimento penale<br />
subì un notevole inasprimento, che ebbe come conseguenza la perdita dei diritti<br />
politici ovvero l’impossibilità di essere eletti alle cariche pubbliche e l’allontanamento<br />
dal Senato: ciò significava l’esilio. Pare dunque evidente che il<br />
Megabocco condannato per concussione su richiesta dei Sardi, finito politicamente<br />
e ormai non più giovane, non potesse trovarsi nel 53 a.C. a Carre a fianco<br />
del giovane Crasso, di cui era quasi coetaneo.<br />
Il processo celebrato a Roma nel 54 a.C. contro il propretore Marco Emilio<br />
Scauro, accusato dai provinciali sardi, è senza dubbio il più celebre episodio<br />
della vita politica romana nell’isola nel corso degli ultimi anni della repubblica.<br />
A partire da Bellieni, la vicenda di Scauro è stata assunta dalla storiografia sulla<br />
Sardegna romana come emblematica del malgoverno di Roma, fondato sulla<br />
corruzione, sulla sopraffazione, sulla legge del più forte: l’uccisione di Bostare,<br />
la violenza sulla moglie di Arine e la riscossione da parte di Scauro delle<br />
tre decime testimonierebbero i metodi adottati dai governatori romani nell’isola.<br />
Ci è pervenuta, anche se solo parzialmente, l’orazione Pro Scauro pronunciata<br />
da Cicerone, che consente una lettura abbastanza precisa delle circostanze<br />
che motivarono l’accusa contro Scauro e dello svolgimento del processo,<br />
che terminò con l’assoluzione dell’accusato. Marziano Capella ci indica in forma<br />
sintetica i capi d’accusa: de Bostaris nece, de Arinis uxore et de decimis tribus.<br />
Quindi i fatti rimproverati a Scauro sono numerosi e riguardano sostanzialmente<br />
due aspetti: l’accusa di omicidio, riguardante la morte di un tale Bostare<br />
e insieme l’accusa di aver spinto la moglie di un certo Arine al suicidio; e poi<br />
le malversazioni del governatore e cioè il crimen frumentarium, l’esazione illecita<br />
della terza decima; il governatore di una provincia non poteva infatti istituire<br />
nuovi tributi, né aggravare le imposte precedenti. Scauro venne dunque accusato<br />
in virtù della lex Iulia de pecuniis repetundis del 59 a.C. e probabilmente della<br />
lex Cornelia de veneficiis, sicariis, parricidiis dell’81 a.C.<br />
Per ciò che riguarda l’accusa di omicidio, pare che Bostare, cittadino di Nora,<br />
avendo saputo che Scauro aveva ricevuto l’incarico di governare la Sardegna,<br />
preoccupato, per ragioni che ci sfuggono, per la sua sicurezza, tentò di fuggire<br />
dall’isola, ma, rassicurato dallo stesso Scauro, accettò di cenare con lui. Il governatore<br />
fu accusato di averlo fatto avvelenare nel corso del banchetto per appropriarsi<br />
del suo patrimonio. Questo omicidio però non era di competenza<br />
dei tribunali romani, poiché esso era stato commesso al di fuori dei territori<br />
dell’Urbs e delle città alleate ed inoltre la vittima non era né un cittadino né un<br />
cliente romano; ma poiché il crimen era stato commesso al fine di appropriarsi<br />
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