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Storia della Sardegna antica<br />
Il problema è dunque quello di stabilire nella narrazione liviana relativa ai socii<br />
e alle civitates ed urbes sociae della Sardinia il valore di queste societates. L’esame interno<br />
dei passi concernenti il 216-215 a.C. non consente tuttavia di accertare se<br />
Livio alludesse o meno a comunità sarde titolari di un foedus con Roma. Diverso<br />
parrebbe il caso delle urbes sociae del 177-176 a.C.: nell’index della tabula picta<br />
dedicata da Gracco alla Mater Matuta è evidente la contrapposizione tra i soggetti<br />
a vectigal, ossia gli stipendiarii gravati dal duplex vectigal, e i socii.<br />
L’ipotesi di comunità genericamente favorevoli a Roma non sembrerebbe,<br />
infatti, soddisfare l’intelligibilità del testo, che, invece, risulterebbe assai perspicuo<br />
ove si intendesse con stipendiarii veteres i Sardi delle comunità indigene e delle<br />
città ribellatesi a Roma, mentre con urbes sociae le città che avevano sottoscritto<br />
un foedus con Roma.<br />
D’altro canto la stipula di foedera con alcune città parrebbe una costante della<br />
più antica politica provinciale di Roma. La Sicilia, infatti, annoverava tre città<br />
foederatae, Messina, Tauromenio e Noto; le due provinciae dell’Hispania Tarraco<br />
(?), Bocchori ed Ebusus nella Citeriore, Gades, Malaca ed Epora nella Ulteriore.<br />
È significativo che lo statuto di civitas foederata fosse stato assegnato a centri<br />
punici, quali Gades, Malaca ed Ebusus. In particolare il foedus con Ebusus riflette<br />
il pragmatismo della politica romana, che anziché impegnarsi nella distruzione<br />
dell’ultima città punica che prestò aiuto a Magone nel momento in<br />
cui abbandonava l’Iberia, nel 206 a.C., concesse, seppure in un momento indeterminato,<br />
un trattato di alleanza all’importante scalo portuale di Ebusus, lungo<br />
la rotta tra Ostia e Nova Carthago. Non deve escludersi che una simile politica<br />
sia stata adottata da Roma in Sardegna, eventualmente sin dall’indomani<br />
della conquista che avvenne «senza combattere» nel 238-237 a.C.<br />
Il foedus era, naturalmente, sempre revocabile: si è infatti ipotizzato che assai<br />
più numerose fossero le civitates foederatae in Sicilia prima che si riducessero a<br />
tre, all’epoca delle Verrine, e Plinio il Vecchio attesta esplicitamente l’abolizione<br />
del foedus con Bocchori, un centro della costa nord-orientale dell’isola Baliaris<br />
Maior.<br />
Così, se ammettessimo l’ipotesi di civitates foederatae in Sardinia almeno nella<br />
prima metà del ii secolo a.C., dovremmo ritenere che entro il 56-54 a.C. tali statuti<br />
privilegiati fossero stati cassati, forse durante i torbidi delle guerre civili fra<br />
Sillani e Mariani, che videro le città sarde schierate sulle diverse sponde.<br />
Qualunque fosse lo statuto goduto dalle città sarde in età repubblicana la loro<br />
amministrazione civica era assicurata, in virtù dell’origine punica, dalla coppia<br />
di magistrati annuali ed eponimi dei sufetes. Tale magistratura è documenta-<br />
214<br />
vi. Gli oppida e i popvli della Sardinia<br />
ta per Carales, Bithia, Sulci, Tharros, ancorché in taluni casi la datazione delle<br />
testimonianze epigrafiche oscilli tra l’estrema fase del dominio punico e l’inizio<br />
del periodo romano. Due attestazioni caralitane (la base bronzea con dedica ad<br />
Eshmun, Asklepios, Aescolapius di San Nicolò Gerrei del ii secolo a.C. e la emissione<br />
cittadina dei suf(etes) Aristo e Mutumbal assegnata al periodo del secondo<br />
triumvirato) si attribuiscono sicuramente alla Repubblica, mentre la documentazione<br />
più recente, quella di Bithia, scende all’età di Marco Aurelio.<br />
La concessione dello statuto municipale o coloniale avvenne a partire dall’età<br />
cesariana o forse meglio ad opera di Ottaviano.<br />
Se Cesare dovette beneficiare Caralis forse offrendole lo statuto di civitas libera,<br />
fu invece Ottaviano a concedere a Caralis, probabilmente nel 38 a.C., lo statuto<br />
di municipium Iulium civium Romanorum, retto da IIIIviri, con la conseguente<br />
iscrizione dei cittadini alla tribù Quirina. Allo stesso Ottaviano, con probabilità,<br />
deve, contemporaneamente, attribuirsi sia la costituzione del municipium di Nora,<br />
con la magistratura dei IIIIviri, sia la deduzione della colonia Iulia Turris Libisonis,<br />
i cui coloni vennero iscritti nella tribù urbana Collina. Infine probabilmente<br />
ad Augusto si deve la deduzione della colonia Iulia Augusta Uselis, amministrata<br />
da IIviri.<br />
Sotto il principato di Claudio venne probabilmente costituito il municipium di<br />
Sulci, amministrato da IIIIviri, con l’iscrizione dei cittadini alla tribù Quirina.<br />
Ignoriamo le date di costituzione delle (probabili) coloniae di Cornus, i cui<br />
coloni sono citati nella dedica ad un patronus della città, e di Tarrhi, di cui conosciamo,<br />
probabilmente, i IIv[iri] e il territorium denominato, tecnicamente, pertica.<br />
In ognuno dei municipia e delle coloniae era costituito un ordo decurionum, il senato<br />
cittadino, che si riuniva nella curia, benché sia possibile che l’istituzione<br />
dell’ordo abbia preceduto in qualche caso la costituzione municipale o coloniale.<br />
I decuriones sono attestati in Sardinia a Carales, Nora, Sulci, Neapolis, Tarrhi,<br />
Cornus, Bosa, Turris Libisonis, Forum Traiani, Uselis.<br />
Il populus di ogni città era suddiviso in sezioni di voto, denominate curiae a<br />
Turris Libisonis e tribus a Neapolis (piuttosto che a Sulci). L’ordo decurionum e il<br />
populus sono associati nella deliberazione sul medesimo argomento a Sulci,<br />
Cornus e Bosa (?), mentre il solo populus è menzionato in Uselis.<br />
Il processo di promozione istituzionale delle città della Sardegna sembra essersi<br />
interrotto nel secondo secolo dell’impero, anche se possiamo immaginare<br />
l’organizzazione di legazioni presso la capitale per ottenere benefici e promozioni,<br />
che apparentemente non vi furono.<br />
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