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Storia della Sardegna antica<br />

prima volta nel 1089, nell’atto di donazione da parte di Constantinus, rex et iudex<br />

Calaritanus, ai monaci vittorini di Marsiglia di varie chiese, tra cui l’ecclesia de S. Evisi<br />

de Mira, ossia Sant’Efisio di Nora; è evidente che in quel momento esisteva già<br />

un luogo di culto intitolato al Martire sardo. Tuttavia sin dal 1088 la stessa chiesa<br />

sarebbe stata spogliata dai Pisani delle reliquie dei Santi Efisio e Potito, traslate<br />

nella cattedrale di Pisa. Evidentemente doveva essersi costituita una tenace tradizione<br />

cultuale presso l’ecclesia de S. Evisi de Nura, se da essa erano state tratte le<br />

spoglie identificate in quelle di Efisio e Potito e se, subito dopo l’acquisizione<br />

della chiesa, si procedette alla sua ricostruzione in forme proprie del romanico<br />

provenzale; per quanto riguarda l’associazione del culto di Sant’Efisio a quello di<br />

Potito, martire di Sardica successivamente trasformato in tipico santo militare<br />

bizantino dell’Apulia, dobbiamo pensare ad una presenza di reliquie importate<br />

nel momento in cui erano vivaci i rapporti tra la Sardegna e l’Italia meridionale.<br />

L’utilizzo cimiteriale dell’area di Sant’Efisio di Nora, già attuato in età imperiale,<br />

dovette continuare durante il periodo paleocristiano. A quest’epoca si<br />

possono attribuire numerose epigrafi ritrovate nell’area, distribuite in un ambito<br />

cronologico che va dal iv al vi secolo. Fra esse degna di rilievo è l’iscrizione<br />

di Respectus, figlio di un lector di nome Rogatus: l’importanza sta, oltre che<br />

nell’attestazione di un nome frequente nell’onomastica africana, nel ricordo di<br />

un membro del clero locale con la carica appunto di lector. Dall’area proviene<br />

anche l’iscrizione con la memoria di un Lucifer.<br />

La locale comunità cristiana scelse dunque questo sito quale luogo di sepoltura,<br />

forse proprio per la presenza di una tomba venerata; su questa si dovette<br />

presumibilmente edificare una memoria, di cui in realtà si sa ben poco, anche<br />

se alcuni elementi strutturali ancora oggi visibili consentono di proporre<br />

alcune ipotesi. All’interno della chiesa vittorina si nota infatti che la zona presbiteriale<br />

è interamente occupata dalla copertura di un ambiente sottostante, a<br />

cui si accede al termine della navata sud tramite una scala.<br />

Possiamo ipotizzare dunque che i monaci vittorini abbiano ricevuto un<br />

preesistente luogo di culto e vi abbiano impostato sopra il nuovo edificio, rispettandolo<br />

e mantenendone non solo il ricordo ma anche la possibilità di accedervi.<br />

Il primitivo martyrium doveva essere semipogeo, visto che non si ebbe<br />

la necessità di sopraelevare la costruzione della chiesa per poterne mantenere<br />

l’utilizzo; inoltre, il ritrovamento di epigrafi senza dubbio ad un livello superiore,<br />

come quella rinvenuta sotto il pavimento della sacrestia, sarebbe un ulteriore<br />

elemento.<br />

Ad una fase mediobizantina del martyrium intitolato ad Efisio, o con mag-<br />

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giore verosimiglianza ad un edificio di culto oggi non più riconoscibile, potrebbero<br />

attribuirsi gli elementi d’arredo liturgico in marmo, quali plutei,<br />

transenne, capitelli e altro, di produzione campana del x secolo, rinvenuti nei<br />

fondali prospicienti l’isolotto di San Macario presso Nora. Se l’ipotesi cogliesse<br />

nel segno si ricaverebbe una fase di monumentalizzazione, ovvero la costruzione<br />

ex novo, di una memoria di un martire locale che, forse nello stesso x<br />

secolo, avrebbe conosciuto la deposizione delle reliquie di San Potito, santo<br />

militare bizantino il cui culto era diffuso nell’Italia meridionale, e la redazione<br />

della passio S. Ephysii nelle forme in cui è a noi pervenuta.<br />

5. Antiochus di Sulci<br />

x. Il Cristianesimo<br />

Mancando la menzione di Antiochus di Sulci nel Martirologio Geronimiano,<br />

la più antica attestazione relativa al suo culto è di carattere epigrafico: Aula micat<br />

ubi corpus beati s(an)c(t)i / Anthioci (sic) quiebit in gloria / virtutis opus reparante<br />

ministro / pontificis XPI(sti) sic decet esse domum / quam Petrus antistes cultu(s) splendo/re<br />

nobabit marmoribus titulis / nobilitate fidei d(e)dicatum XII K(alendas)<br />

Febru(arias).<br />

L’epigrafe, incisa su una lastra di marmo, ricorda la dedica di un restauro del<br />

decoro marmoreo, ad opera del vescovo sulcitano Petrus altrimenti ignoto, dell’aula<br />

dove riposa il corpo del beatus sanctus Anthiocus.<br />

Il monumento epigrafico in cui si ricorda il restauro di un’aula di culto dedicata<br />

al Beatus Anthyocus era sicuramente posto su una sepoltura, ritenuta quella<br />

del martire, nota dalla passione del santo.<br />

La passio di Sant’Antioco che noi possediamo è strutturata in base a quella<br />

dell’Antioco di Sebaste, decapitato ai tempi di Adriano; solo i particolari relativi<br />

all’esilio e alla morte in Sardegna, nell’isola sulcitana, rappresentano l’apporto<br />

originale dell’agiografo.<br />

L’autore della Passio Sancti Antiochi Martyris non manifesta dubbio alcuno sul<br />

rango martiriale del suo eroe. L’introduzione che è inserita alla lectio I costituisce<br />

in sostanza un’esaltazione del beatissimus Christi Martyr Antiocus, annoverato<br />

dall’agiografo come nostr(a)e patri(a)e patronus, dunque protettore della patria<br />

dello scrittore da considerarsi certamente sardo e probabilmente sulcitano.<br />

Al principio della lectio II viene introdotta la datazione degli eventi concernenti<br />

il santo, al tempo dell’imperatore Adriano, e più puntualmente all’epoca<br />

in cui sarebbe stato promulgato in partibus Mauritani(a)e un editto di persecu-<br />

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