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Storia della Sardegna antica<br />
Golfo delle Ninfe presso l’attuale località di Sant’Imbenia a Porto Conte, dove<br />
(anche secondo un recente esame di Marc Mayer) restano tracce di un’antica<br />
peschiera.<br />
Ma numerosi sono anche gli esempi di villa urbano-rustica: Urradili in comune<br />
di Guspini, Sa Tribuna di Arbus, Coddu de Acca Arramundu di Guspini,<br />
Coddu is Damas di Terralba, Lu Bagnu di Sorso, Zunchini di Porto Torres,<br />
La Crucca di Porto Torres.<br />
Dobbiamo altresì sottolineare un altro elemento caratterizzante riguardo alle<br />
ville: esse si addensano nelle aree più prossime alle realtà urbane; la pertica di<br />
Turris Libisonis, la conca olbiana, il circondario di Neapolis, l’area cagliaritana,<br />
i territori di Sulci, Nora, Tharros. Non a caso questi sono tutti centri costieri<br />
dotati di impianti portuali, posti per lo più allo sbocco di fertili retroterra,<br />
collegati da un efficiente sistema viario non limitato agli assi stradali<br />
principali, ma comprendente anche diverticula che collegano le più importanti<br />
realtà rurali.<br />
Casi specifici sono quelli dei praetoria al servizio della viabilità e del trasporto<br />
pubblico di Muru de Bangius di Marrubiu, di Domu de Cubas presso San Salvatore<br />
di Cabras e forse di Bacu Abis. Tutte sono testimonianze di una florida<br />
attività agricola stimolata da ricchi possessores: è il caso già alla fine dell’età repubblicana<br />
della moglie di Varrone Fundania Galla, ricordata per aver fatto costruire<br />
a Tharros, a cura del suo disp(ensator) un tempio forse di Flora con un<br />
giardino ed una recinzione; allo stesso modo in età tarda Palladio a Neapolis<br />
oppure il clarissimo Censorio Secundino e la honesta femina Quarta rappresentano<br />
esempi di ricchi imprenditori agricoli, interessati a sviluppare le strutture<br />
produttive; essi dovevano possedere ville dotate di impianti termali, in un contesto<br />
che comunque è ben lontano dalle monumentali ville della penisola o delle<br />
altre province.<br />
Riguardo alla relativa modestia del loro apparato architettonico, possiamo ritenere<br />
che esso fosse legato anche alle dimensioni delle proprietà ed alla loro<br />
capacità produttiva. A questo riguardo, possiamo ipotizzare per la Sardegna un<br />
processo analogo a quanto avviene in Africa, dove si crea progressivamente un<br />
ceto di medi proprietari agiati, costituito da concessionari i quali pur partendo<br />
da una condizione modesta, come dimostra l’iscrizione dell’anonimo mietitore<br />
di Mactaris, giungono a possedere una cospicua proprietà fondaria dotata di<br />
abitazione signorile con anni di duro lavoro.<br />
In Sardegna non abbiamo simili dirette attestazioni, ma concordiamo con<br />
quanto afferma Piero Meloni, secondo il quale anche nell’Isola poterono veri-<br />
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ficarsi fenomeni di mobilità sociale, favoriti da un mercato di beni fondiari basato<br />
sull’alienazione di porzioni di suolo pubblico.<br />
La riorganizzazione dello spazio rurale riscontrato nella prima età imperiale<br />
nell’ager neapolitanus, basato sulla progressiva concentrazione delle unità produttive<br />
e la scomparsa delle piccole fattorie, che trova un ulteriore riscontro<br />
nell’abbandono della fattoria olbiense di S’imbalconadu, dovette coincidere con<br />
l’ingresso di nuovi gruppi di interesse legati alla famiglia imperiale, che in età<br />
giulio-claudia dispone di un ingente patrimonio nell’Isola (vedi proprietà di<br />
Atte nell’agro olbiense e nell’iglesiente presso Gonnesa), nonché col mutamento<br />
di condizione giuridica di ampie porzioni di territorium cittadino connesso<br />
alla acquisizione al patrimonio municipale e alla gestione diretta dello<br />
stesso da parte delle magistrature locali.<br />
Possiamo presumere che il passaggio alla nuova organizzazione statuale coincida,<br />
per la villa, con l’assunzione del ruolo di centro direzionale del fundus,<br />
attorno al quale si articola un agglomerato di abitazioni modeste, dove risiedevano<br />
gli schiavi e salariati addetti alle diverse lavorazioni, incluse alcune produzioni<br />
artigianali (non è rara la fornace per la cottura di mattoni ed embrici).<br />
Questa forma organizzativa dello spazio rurale dovette giocare in Sardegna un<br />
ruolo fondamentale nel capillare sfruttamento delle risorse agricole e non dovette<br />
limitarsi alla grandissima proprietà ma, come afferma Philippe Leveau<br />
per Cesarea nell’Africa proconsolare, dovette abbracciare quella fascia di media<br />
proprietà fondiaria definita da Tadeusz Kotula “classe decurionale”, ovvero<br />
una sorta di borghesia municipale.<br />
9. Le attività economiche<br />
v. Economia e società<br />
L’economia sarda poggiava su basi alquanto fragili, soprattutto a causa dell’assenza<br />
di capitali adeguati e per la necessità di mantenere un apparato amministrativo<br />
e commerciale spesso parassitario (si pensi alla presenza di usurai,<br />
come quelli cacciati da Catone il Vecchio all’inizio del ii secolo a.C.;<br />
oppure di pubblicani, di appaltatori, di mercanti e di speculatori). Possiamo<br />
toccare con mano lo sfruttamento delle classi inferiori da parte delle aristocrazie<br />
cittadine, interessate alle rendite parassitarie e ad un’economia di produzione.<br />
L’attività pastorale, tradizionalmente nomade, che pure non poteva costituire<br />
di per sé una valida alternativa all’agricoltura, doveva essere ancora larga-<br />
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