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Storia della Sardegna antica<br />

Il numero degli schiavi, dei liberti e dei cittadini di bassa estrazione sociale<br />

doveva essere molto elevato, anche se è evidente che nelle iscrizioni esiste la<br />

tendenza ad omettere la qualifica di liberto che poteva ricordare la precedente<br />

origine servile.<br />

È probabile che anche alcuni liberti (di origine italica od orientale) facessero<br />

parte del consiglio dei decurioni di alcune città sarde, almeno nel periodo iniziale,<br />

proprio per il carattere proletario e popolare delle colonie di Cesare e di<br />

Ottaviano.<br />

Per ciò che riguarda gli schiavi, i casi significativi sono numerosi, anche se<br />

spesso la condizione servile è solo ipotizzabile indirettamente. Si tratta di personaggi<br />

che dovevano essere addetti a varie attività, anche per conto di influenti<br />

imprenditori che investivano capitali in Sardegna, pur continuando a vivere<br />

nella penisola. Sicuramente schiavi erano gli addetti alle miniere (in età tarda<br />

furono condannati a lavorare nelle miniere numerosi deportati cristiani), gli<br />

operai delle saline, gran parte dei lavoratori dei campi ed i responsabili delle<br />

fabbriche operanti nelle città sarde. Sono noti alcuni schiavi pubblici di proprietà<br />

dell’amministrazione cittadina (a Carales, ad Olbia, a Tharros), alcuni dei<br />

quali addetti all’ufficio che conservava il registro dei prestiti effettuati a privati<br />

(calendarium). In alcuni casi conosciamo veri e propri collegi di schiavi, addetti<br />

anche all’organizzazione del culto, in particolare nell’ambito del culto dei Lares<br />

Augusti e del culto imperiale.<br />

L’origine molto modesta della popolazione è confermata dai nomi portati<br />

dai Sardi: i cognomi di origine greca, ad esempio, potrebbero far pensare ad<br />

un’origine orientale o libertina di intere famiglie di stranieri, divenuti più tardi<br />

cittadini romani. In Sardegna l’uso del nome unico d’origine indigena portato<br />

da stranieri privi della cittadinanza è ampiamente documentato per tutta l’età<br />

imperiale: una categoria importante all’interno del materiale onomastico è<br />

quella dei nomi unici o rarissimi, testimoniati in Sardegna per la prima volta o<br />

che comunque hanno pochi paralleli fuori dall’isola: si tratta probabilmente di<br />

nomi indigeni (o punici), che persistevano in età romana. Complessivamente si<br />

arriva a un centinaio di casi di nomi documentati solo in Sardegna, distribuiti<br />

soprattutto nelle zone interne, diffusi anche in età imperiale: un’ulteriore dimostrazione<br />

dell’evidente attaccamento dei Sardi ad una tradizione precedente<br />

ancora vitale.<br />

L’esistenza di un fiorente mercato di schiavi nell’isola è ipotizzabile per tutta<br />

l’età imperiale, almeno indirettamente; alla fine del vi secolo il Papa Gregorio<br />

Magno avrebbe poi inviato il notaio Bonifacio in Sardegna con lo scopo di ac-<br />

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quistare a buon prezzo un consistente numero di schiavi barbaricini, da destinare<br />

alla gestione di un asilo per poveri: certamente col tempo si erano verificate<br />

profonde trasformazioni nelle strutture della società sarda e nella concezione<br />

stessa dello schiavismo, ormai in piena decadenza. Eppure tutto ciò non<br />

può che rimandare a precedenti realtà, che ancora sopravvivevano in parte<br />

proprio nelle zone interne della Barbagia.<br />

L’uso della lingua punica, che in Africa proseguì fino all’epoca di Sant’Agostino,<br />

in Sardegna è ampiamente attestato accanto al latino e (probabilmente)<br />

al protosardo: sono numerose le iscrizioni neo-puniche pervenuteci, tutte successive<br />

alla distruzione di Cartagine, una delle quali arriva fino alla seconda metà<br />

del ii secolo d.C.; la pratica del plurilinguismo è documentata dalla iscrizione<br />

trilingue (latino, greco e punico) di San Nicolò Gerrei, dedicata al dio Esculapio-Asclepio-Eshmun<br />

Merre attorno al 150 a.C. e dalla bilingue di Sulci, che ricorda<br />

nel i secolo a.C. il tempio di Tanit-Elat. D’altra parte doveva essere diffusa<br />

e vitale, specie nelle zone interne, una lingua locale protosarda, di cui sostanzialmente<br />

non ci sono rimaste tracce scritte.<br />

12. La romanizzazione linguistica della Sardegna<br />

v. Economia e società<br />

Giunta precocemente in Sardegna, la lingua latina si impose (o fu imposta),<br />

dopo una fase non breve di bilinguismo, sopra le parlate indigene che, col tempo,<br />

divennero pertanto idiomi di sostrato: un simile processo di sostituzione<br />

linguistica, l’unico documentato nella storia dell’isola sino all’epoca moderna,<br />

non si realizzò soltanto per il prestigio della nuova favella portata dai dominatori,<br />

ma fu anche la conseguenza diretta di episodi violenti (massacri, deportazioni<br />

forzate di schiavi, cattura di ostaggi etc.) che finirono per cancellare quasi<br />

del tutto le lingue delle popolazioni paleosarde (tracce delle quali possiamo rinvenire,<br />

oltreché nella toponimia, in settori limitati del lessico, specialmente fra i<br />

vocaboli che indicano formazioni geomorfologiche, piante e animali). Da un<br />

punto di vista più strettamente glottologico, occorre rilevare che la cronologia<br />

alta dell’introduzione del latino nell’isola è una circostanza che, già a priori, lascerebbe<br />

attendere la conservazione nel sardo di strati arcaici di latinità, o almeno<br />

di singoli elementi riconducibili a tali strati. In effetti, come ha evidenziato<br />

per primo Max Leopold Wagner, nella parlata neolatina dell’isola sono<br />

presenti autentici relitti linguistici, non documentati o rari nelle restanti aree<br />

della Romània: ad esempio, limitandoci a considerare il lessico, possiamo men-<br />

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