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Storia della Sardegna antica<br />

La vicenda di Callisto è importante, ma non documenta l’esistenza di alcuna<br />

comunità cristiana in Sardegna, quanto piuttosto la presenza temporanea nell’isola<br />

di membri della Chiesa romana, deportati contro la loro volontà. Possiamo<br />

invece immaginare che una locale comunità accogliesse nel 235 papa Ponziano<br />

e lo stesso presbitero Ippolito, avversario di Callisto, esiliati in una piccola<br />

isola della Sardegna settentrionale, forse nell’Arcipelago della Maddalena,<br />

mentre era imperatore Massimino il Trace; Ponziano e Ippolito morirono poco<br />

dopo il loro arrivo, e la comunità che li ospitava poté inoltre provvedere alla<br />

cura dei loro corpi, prima che questi venissero trasportati a Roma dagli inviati<br />

di papa Fabiano o dallo stesso pontefice, per essere definitivamente sepolti l’uno<br />

nel cimitero di Callisto sulla Via Appia, l’altro sulla Tiburtina in quello di Ippolito,<br />

che da lui prende il nome. Si tratta comunque di labili notizie che non<br />

possono assolutamente indicare l’esistenza di comunità già organizzate, ma<br />

più probabilmente di piccoli gruppi di persone che nella prima metà del iii secolo<br />

avevano già conosciuto la nuova religione.<br />

Ci si chiede a questo punto quali poterono essere le vie e i veicoli di penetrazione<br />

del cristianesimo nell’isola. Mentre non abbiamo alcuna prova plausibile<br />

per ritenere che la nuova religione arrivasse in Sardegna già in età apostolica,<br />

come proposto anche recentemente da alcuni, e pur non essendoci rimasta<br />

alcuna notizia esplicita nelle fonti, fatta eccezione per i passi a cui si è<br />

poc’anzi fatto cenno, si può ragionevolmente ipotizzare che in modo simile a<br />

quanto accadde in altre aree, anche nell’isola il cristianesimo giunse in una prima<br />

fase nelle città costiere, nei cui porti erano attivi fiorenti traffici commerciali;<br />

tali centri erano ovviamente più permeabili agli influssi esterni, considerando<br />

che insieme alle merci viaggiavano le idee. Verosimilmente i primi evangelizzatori<br />

appartenevano a classi sociali non elevate, piccoli commercianti direttamente<br />

impegnati nel traffico delle proprie merci, insieme a schiavi, artigiani<br />

e soldati, provenienti soprattutto da Roma e dal Nord Africa, ma anche<br />

dalle regioni orientali, in particolare dalle coste della Siria. Questi contatti in<br />

qualche modo poterono avvenire fin dai primissimi secoli dell’era cristiana,<br />

ma risulta impossibile formulare qualche ipotesi, anche in assenza di dati materiali,<br />

sul momento in cui da semplici scambi di idee passò ad un radicamento<br />

del cristianesimo con una conseguente organizzazione ecclesiastica delle<br />

comunità. Non bisogna infine trascurare, nell’opera di diffusione del cristianesimo,<br />

l’apporto dato da coloro che vennero esiliati nell’isola e condannati al<br />

lavoro delle miniere.<br />

Si osserva in generale che la Sardegna è quasi totalmente priva di fonti scritte<br />

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e materiali che precedano la pace della Chiesa, sia in ambito urbano che in ambito<br />

rurale: le ridottissime attestazioni epigrafiche ed archeologiche sono tra<br />

l’altro assai problematiche a livello interpretativo e cronologico, come nel caso<br />

di alcune iscrizioni cagliaritane (in particolare l’epitafio di Munatius Ireneus, forse<br />

nascosto e reinciso con testo differente nell’età delle persecuzioni), di qualche<br />

monumento scultoreo e di alcune lucerne con simboli cristiani, queste ultime<br />

rinvenute anche in ambito non urbano.<br />

Dati più consistenti circa le comunità cristiane della Sardegna in età precostantiniana<br />

possono invece trarsi dalle vicende dei martiri sardi, noti da fonti<br />

non coeve all’età delle persecuzioni ma che comunque, almeno in alcuni casi,<br />

mostrano elementi di storicità.<br />

2. I martiri sardi<br />

x. Il Cristianesimo<br />

Nonostante la storiografia cristiana annoverasse fin dai primi secoli dieci<br />

persecuzioni contro i Cristiani da parte degli imperatori romani, non possediamo<br />

per la Sardegna alcuna fonte storica che documenti persecuzioni anticristiane<br />

precedenti la prima tetrarchia (anni 284-305). In questa fase cronologica,<br />

tenendo fede alle notizie del Martirologio Geronimiano – fonte composta<br />

tra il 431 e il 450 – e delle più tarde passiones, possiamo ipotizzare che esistessero<br />

comunità cristiane a Carales, Nora (?), Sulci (?), Forum Traiani, Turris<br />

Libisonis e Olbia, che poterono formarsi, o comunque rafforzarsi, nel<br />

corso del quarantennio intercorso tra l’editto di Gallieno, che restituiva ai vescovi<br />

i luoghi di culto e di riunione e i cimiteri, confiscati in base alle disposizioni<br />

di Valeriano, e la ripresa della persecuzione sotto Diocleziano; questa,<br />

come è noto, si articolò in quattro editti, di crescente gravità e di portata progressivamente<br />

generale. Il primo editto, del 23 febbraio 303, stabiliva l’interdizione<br />

delle assemblee cristiane, la distruzione delle chiese, l’arsione pubblica<br />

dei libri sacri che avrebbero dovuto essere consegnati da parte del clero e dei<br />

fedeli, il degrado di coloro che si dichiaravano. Il secondo e terzo editto, promulgati<br />

in rapida successione nello stesso anno 303, riguardavano i membri<br />

del clero: il secondo editto infatti stabiliva che tutti i capi delle Chiese dovessero<br />

essere incatenati e posti in prigione, mentre il terzo editto concedeva la libertà<br />

a tutti i capi delle Chiese che avessero accettato di offrire sacrifici agli<br />

Dei ma, in caso di rifiuto, li condannava «ai più crudeli supplizi»; il quarto editto<br />

infine, emanato probabilmente nel marzo del 304, era di carattere generale,<br />

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