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Storia della Sardegna antica<br />

Un reperto altrettanto interessante è un bronzetto che raffigura il dio, con la<br />

barba e in abbigliamento frigio (berretto, tunica corta e calzari), che, con i piedi<br />

su una testa di ariete, alzando entrambe le braccia, fa con la mano destra il gesto<br />

di benedizione.<br />

Come già è stato detto, l’aspetto soteriologico è fondamentale per questi culti;<br />

per questo motivo è giusto ricordare che alcuni di essi trovarono asilo nell’area<br />

del tempio del Sardus Pater ad Antas, dove nel corso degli scavi sono venuti<br />

alla luce, oltre alla già citata testina di Giove Dolicheno, reperti di vario genere<br />

come la statuetta di una devota di Iside (o di Apis) raffigurata nell’atto di mostrare<br />

il basso ventre (atto che ricorda da vicino quello di una statua in marmo<br />

giallo antico dell’Antiquarium Turritano, in passato interpretata anch’essa come<br />

pertinente ad una seguace della dea del Nilo) ed un serpente.<br />

Per concludere, la forza di questi culti era data, oltre che dalla prospettata salvezza,<br />

anche dallo spirito di fratellanza che univa tutti gli adepti, di qualsiasi ceto<br />

essi fossero; infatti, la condizione sociale alla quale essi appartenevano di solito<br />

si annullava nelle comunità, venendo sostituita da gerarchie interne. Anche<br />

il cristianesimo dava molta importanza alla solidarietà fra i correligionari; rispetto<br />

ad esso il limite dei culti orientali erano i misteri, che affascinavano molti<br />

devoti, ma che limitavano a pochi fortunati la conoscenza completa dei rituali.<br />

Essendo dotata di un carattere più aggregante, la fede cristiana, in epoca tardo-imperiale,<br />

riuscì a sconfiggere anche il suo più fiero oppositore, il mitraismo<br />

(che aveva la pecca di non considerare affatto, o quasi, le donne) e divenne<br />

la religione ufficiale.<br />

5. Il culto imperiale in Sardegna<br />

L’organizzazione del culto imperiale in Sardegna è stata recentemente studiata<br />

da Duncan Fishwick, al quale si debbono alcune coraggiose proposte di<br />

rettifica di due documenti ben noti. In passato era già stata messa in evidenza<br />

l’ampiezza della documentazione relativa al flaminato ed al flaminato perpetuo<br />

in Africa, in Sicilia ed in Sardegna, «territori che subirono l’occupazione o comunque<br />

influssi cartaginesi»: già Silvia Bassignano ne aveva ricavato l’impressione<br />

che il flaminato si sia progressivamente adattato su una struttura precedente,<br />

in particolare che i flamini abbiano sostituito i curiones delle curiae. Il flaminato<br />

africano potrebbe esser stata «una semplice trasposizione in termini latini<br />

di sacerdozi indigeni con il mantenimento di una suddivisione in tre classi»<br />

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ix. La vita religiosa<br />

(flamini perpetui, flamini, flamini annui); in ogni caso «l’organizzazione sacerdotale<br />

indigena» potrebbe aver offerto «tali elementi di affinità da consentire la<br />

diffusione su vasta scala del flaminato». Sull’altro versante, Attilio Mastino ha<br />

di recente sostenuto che, in età paleocristiana, la ramificata e capillare organizzazione<br />

del culto imperiale in Sardegna potrebbe aver rappresentato «il modello<br />

territoriale diretto sul quale dovette impiantarsi la nuova organizzazione religiosa<br />

diocesana, che troviamo documentata (per la capitale provinciale Carales,<br />

successivamente qualificata come metropolis) a partire dal concilio antidonatista<br />

di Arelate all’indomani della pace constantiniana, ma che risale sicuramente<br />

almeno al secolo precedente»; del resto lo stesso studioso ha di recente<br />

richiamato l’attenzione sulle ripetute pronunzie della sede romana sulla maggiore<br />

antichità della chiesa cagliaritana, come testimonia la lucida sentenza che<br />

ricorda come l’organizzazione diocesana in Sardegna sia da intendersi in una linea<br />

di continuità con il culto imperiale gestito dai flamines provinciali nella capitale<br />

Carales in età imperiale.<br />

Duncan Fishwick ritiene invece che lo sviluppo dell’organizzazione provinciale<br />

del culto imperiale in Sardegna abbia seguito un percorso analogo a quello<br />

di tutte le altre province dell’Occidente mediterraneo ed in particolare della<br />

Narbonense, dell’Africa Proconsolare e della Betica: furono cioè le autorità romane<br />

ad introdurre soprattutto dopo l’età flavia il culto imperiale in Sardegna;<br />

in questo senso non si potrebbe continuare a parlare di iniziative partite dal<br />

basso in sede locale. A proposito dei privilegi, delle dignità e degli attributi del<br />

sacerdote provinciale, in Sardegna potrebbe esser stato applicato un regolamento<br />

analogo o parallelo alla lex de flamonio provinciae Narbonensis di età flavia,<br />

che tra l’altro conteneva un capitolo specifico de honoribus eius qui flamen fuerit e<br />

prevedeva la possibilità di onorare i flamini usciti di carica con una statua e con<br />

un titulus epigrafico; gli stessi potevano esprimere le proprie opinioni e votare<br />

all’interno del consiglio municipale di provenienza e nel concilio provinciale,<br />

godevano di un seggio speciale in occasione dei giochi, dove potevano indossare<br />

la toga praetexta e apparire con gli abiti da cerimonia nelle principali festività.<br />

Infine, sembra accertato che il sacerdote provinciale in carica doveva risiedere<br />

temporaneamente nella capitale e di conseguenza doveva entrare per un<br />

anno all’interno del consiglio municipale locale, con un rango analogo a quello<br />

dei duoviri della colonia di Narbo Martius.<br />

Se veramente un analogo regolamento veniva applicato anche in Sardegna, si<br />

capirebbe meglio la documentazione epigrafica in nostro possesso, che sembra<br />

certificare il passaggio dopo l’età di Adriano, dai flamines ai sacerdotes provin-<br />

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