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Storia della Sardegna antica<br />
de oggi a studiare meglio le fasi di un processo che si sviluppò nel tempo, con<br />
profonde trasformazioni ed articolazioni locali, al di là delle esemplificazioni<br />
un poco ideologiche e di superficie.<br />
4. I Sardo-libici e la colonizzazione romano-italica<br />
Si è già visto come la popolazione che abitava la Sardegna fino al i secolo a.C.<br />
aveva mantenuto sostanzialmente notevoli affinità con i libio-punici africani;<br />
per quanto avvelenate dalla polemica giudiziaria, le affermazioni di Cicerone,<br />
pronunciate in occasione della difesa del proconsole Marco Emilio Scauro,<br />
contengono molte verità. L’appellativo Afer è ripetutamente usato da Cicerone<br />
come equivalente di Sardus; l’espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae (l’Africa,<br />
quella famosa madre della Sardegna) ha suggerito la realtà di una colonizzazione<br />
forzata di popolazioni africane, costrette a spostarsi nell’isola, con una vera<br />
e propria deportazione. Numerose altre fonti letterarie e le testimonianze archeologiche<br />
confermano già da epoca preistorica la successiva immissione di<br />
gruppi umani arrivati dall’Africa settentrionale (ma anche dall’Iberia, dalla<br />
Corsica, dalla Sicilia e forse dalla Grecia e dall’Oriente), fino alle più recenti colonizzazioni<br />
puniche, tanto che alcune fonti parlano di Sardo-libici: i miti classici<br />
relativi alla colonizzazione della Sardegna immaginano l’arrivo di un gruppo<br />
di coloni africani, guidati dall’eroe Sardus, il figlio dell’Ercole libico; ma anche<br />
Aristeo sarebbe arrivato dal Nord Africa (dalla Cirenaica) e dopo di lui Iolao<br />
ed i Tespiadi (dalla Grecia), Norace (dall’Iberia), Dedalo (dalla Sicilia), i<br />
Troiani compagni di Enea. Con l’occupazione romana erano poi iniziati un difficile<br />
rapporto e una contrastata convivenza dei Sardi dell’interno con gli immigrati<br />
italici; la deportazione in Sardegna di genti straniere (Africani in particolare)<br />
è in realtà veramente attestata anche per l’età successiva a Cicerone, come<br />
ad esempio durante il principato di Tiberio, quando furono inviati quattromila<br />
liberti, seguaci dei culti egizi e giudaici (molti dei quali probabilmente di<br />
origine egiziana), con il compito di combattere il brigantaggio; oppure per la<br />
seconda metà del v secolo, allorché il re dei Vandali Genserico decise forse di<br />
trasferire nell’isola alcune migliaia di Mauri: rifugiatisi sulle montagne presso<br />
Carales, in età bizantina facevano ormai incursioni contro le città ed occupavano<br />
la Barbagia, prendendo il nome di Barbaricini.<br />
Su tale sottofondo etnico, si era andata sovrapponendo la componente italica,<br />
fin dalla fondazione di Feronia con l’arrivo nei primi decenni del iv secolo a.C.<br />
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di circa 500 coloni, in regime di esenzione fiscale. Si pensi poi ai Patulcenses arrivati<br />
dalla Campania ed ai Falesce quei in Sardinia sunt arrivati dall’Etruria meridionale<br />
negli ultimi decenni del ii secolo a.C.; il secolo successivo arrivarono i<br />
Buduntini dall’Apulia, che conosciamo alla metà del i secolo a.C. riuniti in una<br />
sodalitas, testimonianza preziosa di rapporti commerciali con la Puglia romana,<br />
confermati dal ritrovamento di anfore brindisine come quella con bollo<br />
[An]dronici a Cagliari; i Siculenses sono attestati nella Sardegna sud-orientale,<br />
ma un apporto culturale siculo è già documentato in età cartaginese dall’impianto<br />
del culto di Astarte di Erice a Carales. Le attività commerciali erano spesso<br />
gestite da immigrati massalioti, come il negotians Gallicanus di Carales, forse interessato<br />
al sale sardo. Alla fine dell’età repubblicana e nei primi decenni dell’impero,<br />
il trasferimento di un consistente gruppo di coloni di origine romana a<br />
Turris Libisonis e ad Uselis (Cornus e Tharros, che pure sembra abbiano avuto<br />
il titolo di colonie di cittadini romani, non pare abbiano conosciuto una vera e<br />
propria immigrazione di coloni) non può non aver segnato una svolta culturale<br />
per la società isolana; più tardi, la presenza nell’isola di armatori e di mercanti<br />
italici si intensificò ulteriormente, con iniziative imprenditoriali individuali ed<br />
associate; si aggiungano naturalmente le migliaia di legionari e di soldati ausiliari<br />
operanti in Sardegna durante l’età repubblicana, che hanno contribuito ad introdurre<br />
novità culturali e linguistiche di vasto significato. Dunque, all’inizio<br />
dell’età imperiale, la popolazione sarda appare notevolmente composita: la<br />
convivenza tra gli indigeni e gli immigrati italici non era facile; l’integrazione si<br />
rivelò lenta, differente da regione a regione e, nelle zone interne, saldamente<br />
chiuse al confronto con i Romani, solo superficiale e non irreversibile.<br />
5. La resistenza dei Sardi contro i Romani<br />
v. Economia e società<br />
Per quanto Tito Livio sostenga che i Sardi potevano essere vinti con facilità,<br />
la storia della Sardegna romana è inizialmente una storia di ribellioni, di attacchi<br />
improvvisi, di rivolte, presentate dalle fonti romane come episodi di violenza<br />
e di brigantaggio causati dai mastrucati latrunculi usciti dai loro rifugi sotterranei:<br />
ma la «resistenza» degli indigeni alla romanizzazione nelle zone interne<br />
della Sardegna si manifestò da un punto di vista culturale prima ancora che da<br />
un punto di vista militare, soprattutto in età repubblicana. Sono molte le sopravvivenze<br />
della cultura sardo-punica ancora in età imperiale, a contatto con<br />
gli immigrati italici. Già nei primi decenni dell’età imperiale furono dislocati in<br />
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