18.11.2012 Views

7 93 20060719131740

7 93 20060719131740

7 93 20060719131740

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Storia della Sardegna antica<br />

caso del dio eponimo, il Sardus Pater, il tratto distintivo che viene accentuato in<br />

età romana, come vedremo, è piuttosto quello originario e conservativo.<br />

Da quanto si è detto sinora risulta abbastanza evidente che in relazione ad un<br />

tentativo di sintesi e sistematizzazione dei culti e della religiosità della Sardegna<br />

in epoca romana si rende anzitutto necessario considerare una serie di trasformazioni<br />

legate alle diverse fasi dell’affermazione militare e politica di Roma<br />

nell’isola e al graduale consenso che la nuova dominazione riscosse presso città<br />

e popolazioni sarde.<br />

Per quanto riguarda le molteplici sopravvivenze della religiosità punica in<br />

epoca romana, la loro vitalità può essere spiegata in ragione del fatto che esse<br />

erano ormai divenute parte integrante dell’orizzonte culturale delle popolazioni<br />

sarde punicizzate: è noto che alcuni tofet proseguirono la loro attività fino al<br />

ii secolo a.C. (Monte Sirai, Carales, Bithia, Tharros ed Olbia) e addirittura al i<br />

secolo a.C. (Sulci). In Sardegna si può parlare di fenomeni di sincretismo e di<br />

sviluppo di particolarismi nella vita religiosa, non ostacolati dall’autorità romana:<br />

si ricordi Tanit, già presente sulle monete sardo-puniche, che come Elat<br />

aveva un tempio a Sulci; Baalshamen, ricordato a Carales nel iii secolo a.C. e<br />

Melqart, venerato a Tharros. Anche il culto di Demetra e Kore, introdotto dai<br />

Cartaginesi, presenta nell’isola peculiari caratteristiche, per essere associato (a<br />

Terreseu), ancora nel iii secolo d.C., a sacrifici cruenti. I busti fittili di Cerere,<br />

tanto diffusi in Sardegna, nella loro caratteristica iconografia, connotata dall’acconciatura<br />

con diadema e velo (polos), sono eredi delle kernophoroi di tradizione<br />

punica.<br />

Agli anni della seconda guerra punica risalirebbe poi la romanizzazione del<br />

culto, importato dai Cartaginesi in Sardegna, dalla Sicilia nord-occidentale, tributato<br />

alla dea Ashtart di Erice (Venus Erycina), il cui tempio sorgeva presso il<br />

capo Sant’Elia, come è documentato dai resti delle fondazioni dell’edificio (ancora<br />

visibili alla fine dell’Ottocento) e da un’iscrizione, una lastra in calcare con<br />

dedica ex-voto in punico, ad Astarte di Erice. Il santuario extra-urbano, forse<br />

attivo già in età arcaica, ricalca per la posizione topografica, sulla sommità di un<br />

promontorio, le caratteristiche degli altri templi intitolati a questa dea, visitati<br />

da marinai e mercanti e noti per la pratica della ierodulia, la prostituzione sacra.<br />

Già nel 216 a.C., negli anni più cruenti della guerra annibalica, Quinto Fabio<br />

Massimo aveva ottenuto dal Senato l’autorizzazione a dedicare un tempio a<br />

Roma alla dea che da allora venne rifunzionalizzata in chiave filoromana ed anticartaginese.<br />

Tale operazione che aveva l’intento di creare consenso anche attraverso<br />

l’assimilazione e l’accentuazione di tratti «romani» nelle divinità e nei<br />

406<br />

ix. La vita religiosa<br />

culti, dovette riguardare anche le altre aree teatro del secondo conflitto romano-cartaginese<br />

e nello specifico la Sardegna. Un’operazione andata in parte a<br />

buon fine se si pensa che negli anni della rivolta delle popolazioni sardo-puniche,<br />

capeggiata da Hampsicora (215 a.C.), il generale romano Tito Manlio Torquato,<br />

sbarcato nell’isola per reprimere i rivoltosi trovò a Carales appoggio e<br />

sostegno alla causa romana.<br />

Un caso assai illuminante della sintesi culturale tra religiosità punica e romana<br />

e forse protosarda si coglie in particolare nel culto tributato probabilmente tra il<br />

ii e il i secolo a.C., nell’area meridionale sarda, al dio greco-latino Asclepio-<br />

Esculapio assimilato al punico Eshmun, del quale viene sottolineata la funzione<br />

di guaritore attraverso l’appellativo Merre: da San Nicolò Gerrei (in località Santu<br />

Jaci), un centro dell’altipiano del Gerrei, ritenuto in antico sede dello stanziamento<br />

della popolazione sarda dei pastori Gallilenses, proviene una dedica trilingue<br />

in punico, latino e greco incisa su un’arula votiva circolare in bronzo del<br />

peso di 100 libre (33 kg), che attesta l’atto di devozione di un servo di origine<br />

greca (egeo-microasiatica), Cleone, che lavorava presso le saline di Carales, al<br />

servizio di una delle tante società di pubblicani assegnatarie dell’appalto per lo<br />

sfruttamento delle saline: egli intendeva ringraziare il dio greco (nelle sue connessioni<br />

puniche, romane e, pare, protosarde) per una guarigione, forse per una<br />

malattia contratta proprio nell’insalubre ambiente lavorativo, ottenuta per l’intervento<br />

del dio salutifero Eshmun-Asclepio-Esculapio Merre. L’appellativo<br />

Merre, un vero e proprio unicum, è stato ritenuto di origine fenicia e meno probabilmente<br />

paleosarda, anche se recentemente si è avanzata l’ipotesi che piuttosto<br />

che un appellativo, Merre, sia da ritenersi il nome autentico di una divinità indigena<br />

protosarda e che i nomi punico, latino e greco costituiscano delle «traduzioni<br />

assimilative». Del resto il culto tributato a Merre o ad Eshmun-Asclepio-<br />

Esculapio Merre sarebbe stato praticato in altre aree della Sardegna, anche se<br />

non è stata accolta l’ipotesi che il toponimo Macomer sia da intendersi come<br />

maqom Merre, ossia «la città di Merre». Certo è che sia l’originale appellativo Merre<br />

nel probabile significato di “colui che guarisce”, sia l’assimilazione di Asclepio<br />

ad Eshmun, come pure l’adozione di diversi registri linguistici da parte del<br />

greco Cleone fanno pensare alla necessità di adattare il messaggio epigrafico e il<br />

contesto religioso all’ambiente locale sardo. Non bisogna infatti trascurare che<br />

Asclepio era entrato a far parte del pantheon romano come Esculapio abbastanza<br />

tardi, nel 239 a.C., portato a Roma da Epidauro a seguito di una grave<br />

epidemia che aveva devastato la città laziale: è probabile dunque che in una provincia<br />

periferica quale era la Sardinia, anche dopo la conquista romana la ricezio-<br />

407

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!