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Storia della Sardegna antica<br />
indagini archeologiche.<br />
Al colle dove si localizza una delle necropoli della Turris romana, quella a sud<br />
della città sviluppata lungo l’asse viario che si dirigeva verso Carales, fa riferimento<br />
la Passio che lo ricorda esclusivamente come luogo in cui Proto e Gianuario<br />
esercitavano la loro predicazione. Si è già parlato dei ritrovamenti archeologici<br />
che attestano l’esistenza della necropoli romana sul Monte Agellu e<br />
le sue pendici. È invece importante a questo punto analizzare i dati degli scavi<br />
che, almeno in tre momenti principali, hanno interessato l’area, restituendo<br />
contesti relativi all’età paleocristiana e all’alto medioevo.<br />
Nel corso della ricerca dei corpi santi, nel xvii secolo, fu interamente scavata<br />
l’area sottostante la navata centrale della basilica romanica, dall’abside orientale<br />
fino alla zona presbiteriale presso l’abside occidentale, unica parte risparmiata;<br />
in pratica, la grande cripta ancor oggi fruibile venne creata proprio in quell’occasione.<br />
Lo scavo rimise in luce numerose sepolture di varia tipologia.<br />
Dopo gli scavi seicenteschi, si dovettero attendere quasi 350 anni per assistere<br />
a nuovi scavi archeologici presso la basilica di San Gavino, naturalmente<br />
condotti con diverse metodologie e nuovo spirito scientifico. Nel 1963 infatti<br />
Guglielmo Maetzke rimise in luce i resti pertinenti ad una basilica funeraria, di<br />
notevoli dimensioni, anche se non vi è alcun elemento per poterla riferire ad<br />
una originaria memoria martiriale o comunque connessa ad una sepoltura venerata.<br />
A partire dal 1989 nuovi scavi, diretti da Letizia Pani Ermini e da Francesca<br />
Manconi, hanno interessato i due piazzali antistanti i lati Sud e Nord della basilica<br />
romanica, noti rispettivamente come Atrio Metropoli e Atrio Comita.<br />
In Atrio Metropoli è stata rimessa in luce una porzione della vasta area funeraria<br />
del Monte Agellu, con tombe ricoperte da intonaco, molte delle quali dotate<br />
di iscrizione funeraria; queste indicano con chiarezza l’utilizzo dell’area da<br />
parte della locale comunità cristiana, in un periodo che va almeno dalla fine del<br />
iv al v secolo, al quale seguono differenti fasi d’uso della stessa area. Tra le epigrafi<br />
particolare interesse rivestono quella di una defunta di nome Musa, giacché<br />
si tratta della più antica iscrizione datata di Turris, che, in base all’indicazione<br />
dei consoli risale al 394, e quella musiva di Turritana, a tessere multicolori<br />
con le quali è composto anche un kantharos. Assai problematica è invece un’iscrizione<br />
incisa su una lastra marmorea che ricorda una puella Adeodata, che viene<br />
affidata, dopo la morte, alla cura dei martiri (a marturibus suscepta), della fine<br />
del iv – inizi del v secolo.<br />
Nel lato opposto, in atrio Comita, sono stati invece rimessi in luce resti mo-<br />
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numentali in cui si sono individuate almeno tre fasi edilizie. Ad una prima fase,<br />
forse risalente al v secolo, si riferisce un edificio di culto mononave con abside<br />
orientata a NE, di cui rimangono la stessa abside e metà dell’aula. A tale edificio<br />
di culto, nella sua estrema estensione verso sud, si sovrappone la basilica romanica,<br />
proprio nel settore in cui, durante gli scavi degli anni ’60, si individuarono<br />
i resti dell’aula di culto con abside orientata ad ovest; pertanto la Pani Ermini<br />
ritiene non più valida l’ipotesi del Maetzke, che non escludeva che la «basilichetta»<br />
che da lui prende il nome potesse interpretarsi come primitiva aula<br />
di culto dedicata ai Martiri. I muri perimetrali dell’aula vennero successivamente<br />
risegati e utilizzati come stilobati per i colonnati di una basilica trinave, probabilmente<br />
preceduta da un nartece.<br />
Tra la chiesa bizantina a tre navate e la basilica romanica a doppia abside contrapposta,<br />
edificata tra la metà dell’xi secolo e i primissimi anni del xii, dovette<br />
esistere un altro edificio di culto. Gli edifici di culto devono interpretarsi, almeno<br />
dalla fase del v secolo, come l’ecclesia cathedralis dell’episcopus turritanus.<br />
Ricordiamo che la sede episcopale di Turris è attestata a partire dal 484, momento<br />
in cui il vescovo Felix presenzia al Concilio indetto a Cartagine dal re dei<br />
Vandali Unnerico; una sua più remota formazione, già proposta dal Lanzoni,<br />
può comunque ipotizzarsi, tenendo conto dell’importanza che fin dai primi<br />
tempi la diocesi turritana dovette avere rispetto alle altre dell’isola, seconda solamente<br />
a Carales.<br />
8. Simplicius di Olbia-Fausiana<br />
x. Il Cristianesimo<br />
Nel Martirologio Geronimiano, il 15 maggio (Idus Maii) troviamo la memoria<br />
del martire sardo Simplicius, menzionata differentemente nei vari codici: il Codex<br />
Bernensis riporta in Sardinia Simplici, mentre l’Epternacensis e il Weissemburgensis<br />
hanno rispettivamente in sardi. Simplici e In Sardinia simplici; il Breviario di Reichenau<br />
riporta un’ulteriore specificazione, Et in Sardinia simplici pr(es)b(iter)i e Et<br />
in Sardinia simplici episcopi (codice R1). Punto nodale del problema è comunque<br />
la menzione che segue quella di Simplicio nei codici Notkerianus e Senonensis: nel<br />
primo troviamo, dopo la memoria del Martire sardo, et in civitate Filasiana rosulae,<br />
variata nell’altro in et in civitate fausiana rotolae.<br />
Il riferimento al Martire del Geronimiano, emendato dal Delehaye In Sardinia<br />
Simplici presbiteri, è stato oggetto di discussione da parte di vari studiosi. Tralasciando<br />
le ipotesi ipercritiche che non ammettono l’attribuzione di Simplicio<br />
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