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Storia della Sardegna antica<br />

del danaro altrui, il reato venne fatto rientrare nei delitti che si giudicavano in<br />

base alla lex Iulia de pecuniis repetundis.<br />

Per quanto riguarda i fatti relativi alla moglie di Arine, l’accusa concerneva il<br />

crimen incontinentiae intemperantiaeque libidinum, poiché Scauro aveva esercitato tali<br />

pressioni sulla moglie del sardo Arine, da costringerla al suicidio per sottrarsi<br />

al disonore. Anche Arine, all’arrivo di Scauro, tentò di fuggire segretamente<br />

dall’isola, rifugiandosi a Roma. Cicerone paragona la sua fuga al comportamento<br />

dei castori, che pur di salvarsi la vita si liberano volontariamente della<br />

coda, la parte del loro corpo più pregiata per la quale vengono cacciati, rimasta<br />

imprigionata in una tagliola e la recidono con dei morsi. Anche queste circostanze<br />

furono ricomprese nelle fattispecie criminose della lex Iulia, poiché oltre<br />

alla repressione delle esazioni illecite si voleva colpire anche il comportamento<br />

immorale dei funzionari provinciali.<br />

Scauro fu chiamato in giudizio da Lucio Valerio Triario il 6 luglio e il processo<br />

venne celebrato tra il mese di agosto e quello di settembre: in seguito alla nominis<br />

delatio (l’accusa vera e propria) veniva espletata la formalità della inscriptio<br />

nei registri del tribunale che consisteva nel riportare la data, il nome del pretore<br />

che sovrintendeva al processo, i nomi degli accusatori e dell’accusato, la legge<br />

violata.<br />

Successivamente il pretore stabiliva una data di scadenza entro la quale l’accusatore<br />

era vincolato ad esporre le prove (inquisitio). Soltanto dopo aver espletato<br />

questi preliminari venivano citate le parti e si procedeva al dibattimento in<br />

tribunale. Attraverso il commentario di Asconio sappiamo che Catone, che era<br />

il pretore assegnato al processo di Scauro, accordò a Valerio Triario e ai suoi<br />

subscriptores, Lucio Mario e i due fratelli Marco e Quinto Pacuvii, trenta giorni<br />

per recarsi in Sardegna ed in Corsica allo scopo di indagare e di raccogliere le<br />

prove necessarie.<br />

Essi ritennero di aver raccolto prove sufficienti e preferirono non recarsi in<br />

Sardegna per investigare, con lo scopo di anticipare il dibattimento agli ultimi<br />

giorni di agosto, per evitare che, nel caso fosse stato posticipato il processo,<br />

Scauro, con il denaro requisito illegalmente ai Sardi, potesse comperare l’elezione<br />

al consolato; in questo modo si sarebbe potuto poi far assegnare il governo<br />

di un’altra provincia, prima di rendere conto della sua precedente amministrazione.<br />

L’accusa aveva comunque mandato in Sardegna un certo Valerio, che aveva<br />

ricevuto la cittadinanza romana da Publio Valerio Triario padre, che vent’anni<br />

prima aveva combattuto in Sardegna Marco Emilio Lepido. Valerio, probabil-<br />

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iii. Roma in Sardegna: l’età repubblicana<br />

mente un mercante cliente ed amico dell’accusatore di Scauro, era riuscito a radunare<br />

centoventi testimoni per l’accusa, che dichiararono concordemente di<br />

essere stati derubati da Scauro.<br />

L’ultimo giorno del giudizio cadde il 2 settembre, data nella quale, verosimilmente,<br />

Cicerone pronunciò la sua arringa. Egli esordì ricordando la posizione<br />

di Scauro in città, focalizzando il discorso sul padre del suo cliente, ricordato<br />

per la sua alta dignità e la sua moralità. Di seguito procedette allo smantellamento<br />

delle accuse di omicidio e di violenza sessuale, mettendo in evidenza i<br />

legami esistenti tra i due crimini imputati a Scauro: in primo luogo egli non aveva<br />

alcuna ragione di uccidere Bostare, infatti non era il suo erede e non aveva<br />

nessun motivo di odio personale. La sua morte piuttosto poteva essere dovuta<br />

a cause naturali o più probabilmente all’intervento criminale di sua madre che<br />

aveva una relazione clandestina, ma in realtà nota a tutti con Arine. Cicerone<br />

dichiarò che il suicidio della moglie di Arine non era verosimile. Ironizzando<br />

sull’aspetto esteriore della donna, ormai anziana e non certo avvenente, che<br />

non avrebbe potuto ispirare a Scauro una passione colpevole, sostenne che il<br />

suicidio per salvare la virtù era cosa abbastanza singolare per quel periodo, soprattutto<br />

per una donna che non aveva avuto la possibilità di leggere le opere di<br />

Platone e di Pitagora; e, anche se questo fosse accaduto, la moglie di Arine non<br />

aveva compreso correttamente le sue letture, poiché sostanzialmente entrambi<br />

gli autori condannavano il suicidio come negazione della vita. Quindi potevano<br />

formularsi per la sua morte spiegazioni ben più razionali: forse ella non era<br />

riuscita a sopportare di essere stata abbandonata dal marito per la madre di Bostare<br />

o, piuttosto, fu assassinata da un liberto, su ordine del marito. Questa supposizione<br />

trovava conferma nel fatto che il delitto era avvenuto durante i Parentalia<br />

tra il 13 ed il 21 febbraio, mentre tutti gli abitanti di Nora erano riuniti nella<br />

necropoli fuori le mura: ciò aveva permesso che l’omicidio si perpetrasse senza<br />

testimoni. Subito dopo il liberto si recò a Roma per informare Arine dell’accaduto,<br />

e questi sposò la madre di Bostare.<br />

Durante il processo dunque l’unico vero testimone dovette essere Valerio,<br />

poiché egli era il solo capace di parlare in latino; egli fece quindi da interprete<br />

agli altri centoventi testimoni, che parlavano la lingua punica o addirittura la<br />

lingua protosarda. Proprio per questo Cicerone affermò che tutto il processo<br />

dipendeva da questo sardo da poco entrato nella romanità, sconosciuto e senza<br />

autorità, che con la sua testimonianza aveva voluto dimostrare riconoscenza al<br />

figlio di colui che gli aveva donato la cittadinanza; del resto nessun altro cittadino<br />

romano, fra i tanti residenti in Sardegna, aveva rafforzato la sua deposizio-<br />

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