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Eppure, ti sembrerà incredibile, questo sproposito di<br />
donna era persino riuscita a conquistare un tale, al Corno<br />
della Forca, un anzianotto allevatore locale, forse più abituato<br />
alle vacche che agli esseri umani, ormai da troppi<br />
anni privo di punti di riferimento attorno al concetto di<br />
donna. Lui le fa una corte spietata.<br />
Una corte rurale, se mi capisci. Con ambasciate, attraverso<br />
la padrona di casa di Maddalena. Lettere, biglietti,<br />
cosucce profumate. E regali: caciotte, bidoni di latte<br />
schiumante, prosciutti, culatte e parasangue. E Maria tiene<br />
lo spasimante sulla corda per un po’ di mesi, senza dire<br />
né si né no. Accettando, comunque, i regali.<br />
Finché una volta, quel povero – si chiamava Figurino e<br />
pesava novanta chili abbondanti per una statura di centocinquantadue<br />
centimetri – abborda direttamente la signorina,<br />
a sera, sulla strada vuota che conduce dalla chiesa<br />
alla casa. Quella, per tutta risposta alle avances, gli affonda<br />
uno schiaffo, pesante come un agnello, sulla guancia.<br />
Figurino abbozza, e torna alle vacche. Per sempre.<br />
Insomma, tutti più o meno lasciamo la famiglia. Chi si<br />
sposa, chi emigra. Alla fine resta sola mammina, pensionata.<br />
E Maddalena ritorna. “Per non lasciare sola la carissima<br />
mamma” dice.<br />
“Per cominciare a fregarsi meglio l’eredità” diciamo<br />
noi, che la conoscevamo abbastanza.<br />
Comunque, sotto gli occhi di tutti, mentre finalmente<br />
ce l’avevamo in città, è cominciato un processo di decadenza<br />
micidiale. Una cosa mai vista. Io te lo racconto come<br />
l’ho visto. Ma so che sembra una esagerazione.<br />
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Si svegliava, la mattina, e, prima cosa, faceva colazione.<br />
Mammina si accontentava di un cappuccino. Maddalena<br />
si preparava mezzo litro abbondante di caffèlatte, e ci inzuppava<br />
dentro una bella focaccia infarinata. Poi attaccava<br />
un’altra focaccia, ripiena: burro e marmellata, o salsiccia,<br />
o lardo secco, o qualunque altra cosa si trovasse nel<br />
frigo. Concludeva, inevitabilmente, con un sorso di vino<br />
nero. Non vinello da signori: di quel vino che facciamo<br />
noi nei paesi, vino pesante e pastoso, vino per stordire, vino<br />
per dimenticare. Attingeva direttamente dalla bottiglia,<br />
senza mediazioni del bicchiere, a garganella. Un minuto<br />
di apnea, incollata al collo di vetro, e le sue guance<br />
prendevano quel rubizzo che non l’avrebbe più abbandonata<br />
per tutto il giorno.<br />
Poi usciva. Apparentemente sazia. Si arrampicava per<br />
Via Garibaldi, la strada del commercio e dei negozi, la<br />
strada delle vetrine e dei Carnevali. Qui, mentre qualcuno<br />
cominciava a sollevare le serrande, lei zampettava con<br />
la grazia sua propria, quella d’una enorme foca incinta. Si<br />
stoppava puntualmente davanti a quell’antico caffè che<br />
ha profumato di dolce l’infanzia di tutti i suoi concittadini.<br />
E in quel luogo, di fronte a spettatori mattutini, sempre<br />
esterrefatti, celebrava il suo trionfo. Ingollava, una<br />
dopo l’altra, cinque enormi bombe rigonfie di crema, e<br />
faceva seguire un cappuccino caldo. Poi, appena appena<br />
meno esagitata, assaggiava le sfoglie e i cannoncini, le fette<br />
di torta e il gelato al limone. Due yoghurt conditi con<br />
zucchero completavano il pasto. “Prendo lo yoghurt per<br />
dimagrire”, diceva.<br />
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