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quando il sole buono accompagnava le ombre dei giochi,<br />

e un corpo di fanciullo era una meraviglia da scoprire<br />

dentro un antico armadio.<br />

A Ibrahim che mi costringeva ad accettare il suo desiderio,<br />

e a negare il mio. A Ibrahim del deserto, che ho pugnalato<br />

in una serata di primavera, profumata di menta,<br />

nel souk di Tetouan, perché odiavo lui e il suo amore.<br />

Penso a Ibrahim.<br />

Il mio corpo, ora, in questo sogno, anche il mio corpo<br />

mi sembra complice e laido. Vittima di un sacrificio cui si<br />

presta senza lamenti – non per il piacere, cristo, ma per<br />

sopportazione pura e semplice, per abitudine lungamente<br />

meditata, in espiazione di colpe mai commesse.<br />

Tutto si mischia col faccione tondo della bestia che mi<br />

nasconde il cielo e si muove fra le mie viscere mentre la<br />

mia anima è assente e il mio corpo sacrificale trova ancora<br />

salvezza nell’immobilità rigida della morte.<br />

Gli ultimi sussulti, e si ritrae col suo coso nauseante, ormai<br />

spento.<br />

I suoi occhi non mi guardano più. Cercano già ora di dimenticare,<br />

di immaginare che le cose siano andate in tutt’altro<br />

modo.<br />

Le sue orecchie paiono cercare tracce di qualche mio<br />

gemito di piacere perduto, per oscurare la memoria del<br />

pianto e delle maledizioni.<br />

Volta le spalle e cerca, lanciando i suoi occhi, oltre l’orizzonte<br />

di andar via da se stesso e dai suoi atti.<br />

Ora, mentre voltato piscia in silenzio, ora potrei ancora<br />

una volta sollevarmi dalla terra su cui sono scomparsa, e<br />

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ancora una volta impugnare il lungo coltello per piantarglielo<br />

in gola, e star lì, ancora una volta, mentre il sangue<br />

ribolle sulla lama e tutte le colpe spariscono in una immensa<br />

e tardiva pietà.<br />

Ma c’è sempre un Ibrahim nei miei sogni, e ucciderli<br />

tutti non serve.<br />

Ora sono stanca e vorrei dormire. Cambiando sogno,<br />

una volta tanto.<br />

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