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Vorrei fuggire lontano, in un paese di sole, in Africa.<br />
Vorrei che fuggissimo all’improvviso. Un viaggio in nave,<br />
tutto mare tutto mare, e poi l’Africa, Tetouan, un tugurio<br />
caldo con le mosche e le zanzare, al sole, una barca e un<br />
po’ di soldi, un letto bianco, il sole – mormora Lucia con<br />
gli occhi oltre il muro – senza quel coglione. Mai più. Non<br />
vederlo mai più. Neanche una sola volta nella vita. Neanche<br />
da morto.<br />
Intascano la ricevuta finale dagli occhi adoranti di un<br />
cameriere basso con le basette lunghe fino alla mascella,<br />
alla Tom Jones, piovuto da una moda vecchia un quindicennio,<br />
e corrono via sotto quel cielo grigio e bianco, livido<br />
come gli occhi del morto annegato e spolpato dalle onde<br />
e dai pesci.<br />
Sinfonia op. 17. Organo and flute. Lucia e Francesca.<br />
Nella piccola stanza, protette da un tulipano giallo e solare.<br />
Profumi di donna e in un angolo straccetti accatastati<br />
uno sull’altro, ammiccanti. Sorrisi quasi impauriti e mani<br />
fredde che si fanno compagnia – in due si è sempre più<br />
tiepidi – prima esplorazione di un corpo, a partire dai piedi<br />
bianchi appena sciacquati, viaggiando lungo una gamba<br />
morbida di pelle d’oca, soffermandosi appena un attimo<br />
fra le prime labbra suadenti, un primo saluto di riconoscimento<br />
“ben trovate, eccoci ancora”, vagando su un<br />
ventre rotondo come un canestro rovesciato, saltellando<br />
su una tetta scura tornita da madre maestra, visitando<br />
l’angolo di un braccio – ah, la dolcezza di un’ascella levigata<br />
– e i peli teneri della schiena inarcata, che sfuggono<br />
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alle carezze, sostando fra due natiche che anche noi avremmo<br />
voluto amare. Lucia e Francesca. Ogni fruscio ritmato<br />
dal respiro comune di due bocche appena appena poggiate<br />
una sull’altra fino a che la saliva improvvisamente manca<br />
e nell’una e nell’altra, un appena appena di sensazione<br />
di secco e di affanno fra quattro occhi sbarrati.<br />
Hard rock. Il tulipano trema mentre una violenta spallata<br />
demolisce la porta d’ingresso della stanzetta degli<br />
amori – ah, questi amori interrotti brutalmente, che pena<br />
– e – ragazzi – Fausto digrigna i denti, alto e forte, maschietto<br />
incazzoso nonché poligrafico legittimo consorte<br />
di Lucia, piomba nella stanza, Fausto, e ha in mano un<br />
coltello luccicante e infido – “ah, bagascia” – trema persino<br />
quella mutandina bianca con ricamata la violetta maliziosa,<br />
avanza gigantesco con la bava alla bocca “questa<br />
volta ti schiaccio, puttana.” Occhi di fuoco minacciano<br />
sfracelli – finirà anche questa, anche questa dolcissima<br />
fanciulla, in grigio su una colonna di giornale “vittima<br />
della follia omicida”? – porte che sbattono. Inquilini impauriti.<br />
Due fanciulle tenere e nude su un lettone bianco<br />
guardano il sogghigno feroce di un bruto armato di coltello<br />
che procede, grande e grosso, bestiale e inumano,<br />
un dio di vendetta, il vendicatore di milleuno mariti traditi<br />
sui letti di mezzomondo, sui prati, in auto e persino –<br />
perché no? – sul sellino di una vespa. Fausto solleva il<br />
braccio armato e piomba sul letto. Prenotazioni in macelleria.<br />
Tutto è compiuto?<br />
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